La nostra grande bellezza: un viaggio tra i Palazzi storici di Poste Italiane alla scoperta dei tesori artistici e architettonici. Un itinerario sorprendente che coinvolge tutta l’Italia e aiuta a ripercorrere la storia del servizio postale.
Appena lo vedi, la prima sensazione che ti dà è quella di un tempio. La facciata perfettamente rettangolare con i pilastri molto alti, persino la torre al suo fianco, appoggiata come un campanile, sembrano voler evocare qualcosa di sacro e di monumentale insieme. Se uno va a spulciare la storia di questo Palazzo delle Poste di La Spezia, si accorge che l’impressione non è affatto sbagliata. A modo suo, questo edificio è davvero un monumento del futurismo, un tempio che conserva i mosaici capolavori di Enrico Prampolini e Luigi Colombo detto Fillia e che l’architetto Angiolo Mazzoni erige proprio nel momento in cui abbraccia definitivamente la corrente artistica di Filippo Tommaso Marinetti.
La capitale del futurismo
L’idea del progetto del Palazzo delle Poste nasce nel 1928, cinque anni dopo la nomina di La Spezia a capoluogo di provincia, ma la sua realizzazione è del 1933. Nel 1934, Mazzoni firma con Marinetti il “Manifesto futurista dell’architettura aerea”. Il cerchio è chiuso. Quando commissiona i mosaici della Torre a Fillia e Prampolini chiede di avere “una decorazione polimaterica e coloratissima, contro le false decorazioni degli affreschi”. Il risultato è superbo: quattro grandi pannelli in ceramica che riempiono duecento metri quadri di visioni e prospetti futuristi illuminati dai fasci di luce che discendono dalle finestre in alto. Non è neppure un caso, forse, che proprio qui Mazzoni abbia elaborato questo progetto. La Spezia era diventata agli albori del secolo una delle capitali italiane del futurismo, e persino qualcosa di più. Nell’Italia che nasceva era stata subito trasformata in una città militare, modernissima, dove costruivano le grandi navi, che simboleggiavano assieme agli aerei la rivoluzione futurista. Cavour, invece, nel 1860, aveva voluto la rivoluzione edilizia, a La Spezia, per costruirci l’Arsenale Militare Marittimo. La città era diventata un cantiere, fu sbancata la collina dei Cappuccini, e i lavori ne cambiarono definitivamente il volto e le dimensioni. Era, essa stessa, un simbolo di quella corrente artistica che sognava di spazzare via il passato per volare nel futuro. Nella rincorsa al nuovo, il Palazzo delle Poste sostituì il precedente palazzo postale che era stato eretto solo pochi anni prima, nel 1880, ma che si presentava già in cattivo stato di conservazione. L’edificio è a ridosso della collina, e la sua facciata, con i pilastri e la scalinata in travertino, è incorniciata da una parete in mattoni. Il contrasto di materiali è ripetuto anche all’interno, nel salone al pubblico, dove i marmi delle pareti e delle porte si contrappongono cromaticamente ai muri in laterizio.
Tra cielo e mare
La Torre quadrata, eretta al fianco del Palazzo, ha accesso separato dagli uffici aperti al pubblico. Appena entrati, lo sguardo è subito rubato dalla linea curva della rampa elicoidale. I mosaici risplendono sulle pareti. Di giorno la luce scende dalle 12 finestre in alto, distribuite sui 4 lati, e da una lunga feritoia longitudinale all’altezza dei grandi pannelli in ceramica, con i bordi in metallo. I due assegnati a Fillia trattano “Le comunicazioni terrestre e marittime”, immortalate con il suo caratteristico stile geometrico e aeropittorico, perfettamente esemplificato da un treno sfrecciante su disco rosso. Gli altri due pannelli di Prampolini riguardano “Le comunicazioni telegrafiche, telefoniche ed aeree”. Qui le visioni si fanno strapiombanti, ai limiti dell’astrazione, mentre i contorni si risolvono in linee plastiche e dinamiche dentro a questo trionfo di colori. Uscendo su piazza Verdi, resta la sensazione di aver appena reso omaggio a un museo. Ma tra i palazzi liberty, gli ombrelloni e le siepi, la gelateria e il tabacchino, il tempo ha ripreso a muoversi. Anche il futuro è già passato.
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