Nel 1982, i suoi erano i baffi forse più famosi d’Italia. Quelli di un ragazzo appena diciottenne che, all’inizio della carriera, aveva già ottenuto il massimo che un calciatore potesse raggiungere. Davvero incredibile la carriera di Giuseppe Bergomi, per tutti semplicemente Beppe, lo “zio” d’Italia che, con la Nazionale azzurra di Enzo Bearzot, si laureò nell’82 Campione del Mondo in Spagna. Argentina, Brasile e dulcis in fundo Germania, nella fantastica atmosfera del Bernabeu, spazzate via una dietro l’altra, fino al trionfo finale. Beppe Bergomi, il più giovane di quel manipolo di eroi del calcio, a distanza di 40 anni dallo storico successo, ci racconta le sue emozioni indimenticabili e indelebili, un viaggio a ritroso nel tempo tra gli incancellabili ricordi di quel periodo.
Bergomi, sono passati 40 anni. Una vita. Ma, fatto più unico che raro in un calcio che dimentica tutto troppo in fretta, voi protagonisti del Mundial ’82 ancora oggi siete ricordati con un affetto senza eguali. Come te lo spieghi?
“Ci ho pensato molte volte. E mi è sempre stato difficile trovare una spiegazione. Certo che è qualcosa di davvero incredibile. Erano altri tempi: noi calciatori di una volta venivamo visti con un occhio diverso dai tifosi. E poi, nell’82, si tornava a vincere un Mondiale dopo quello del 1938. Era passata una vita. Il successo di quella Nazionale venne preso da tutti come un momento di rinascita del Paese. Uscivamo da anni bui, anche a livello sociale: il successo contro grandi nazionali come Argentina, Brasile e Germania rappresentò idealmente una rivincita per tutti gli italiani”.
La storia di quel Mondiale fu la storia di un crescendo continuo, un’escalation incredibile di prestazioni e risultati, sia per te che per la Nazionale.
“È vero, assolutamente. Fu una cavalcata trionfale. Avevamo uno spirito di gruppo eccezionale. Io avevo appena 18 anni. Esordii contro il Brasile, per l’infortunio di Collovati. Poi titolare contro la Polonia e nella finalissima del Bernabeu contro i tedeschi. Però, mi sono sempre sentito tranquillo. Avevo compagni di grande spessore umano e tecnico: sapevo che potevo anche sbagliare e che loro mi avrebbero comunque aiutato. Un grazie lo devo dire, a distanza di 40 anni, anche a Enzo Bearzot: “Ragazzo, tocca a te” mi disse al momento di farmi entrare in campo contro il Brasile. Mi catapultai sul terreno di gioco con mille farfalle nello stomaco”.
Già a inizio carriera riuscisti a ottenere il massimo. Una fortuna (e un merito) che non capita quasi a nessuno. Come sei riuscito a gestire l’emozione?
“Ero poco più di un bambino, ma mi sentivo pronto. Mi ero preparato bene, come ho sempre fatto nel corso nella mia carriera. Il resto non l’ho fatto io, ma i miei compagni: a cominciare da Giampiero Marini, mio compagno di stanza in Nazionale: fu lui che mi assegnò il nomignolo di “zio” per via dei miei folti baffi; fu lui che, durante quel Mondiale, mi aiutò a stemperare la tensione”.
Più difficile commentare una finale mondiale da telecronista o viverla da calciatore, magari marcando un certo Kalle Rummenigge?
“Sono due cose diverse (ride, ndr). E io ho avuto la fortuna di provare entrambe le sensazioni, commentando in tv la finale mondiale Italia-Germania del 2006. Diciamo che scendere in campo e conquistare una Coppa con la maglia della tua Nazionale, non ha eguali. Posso dire che, in entrambi i casi, ti devi preparare con scrupolo e professionalità”.
Che rapporto avevi, allora, con la corrispondenza? Ricevevi molte lettere durante il Mondiale e dopo averlo vinto?
“Sì, ne ricevevo molte. Ma mai quante quelle che riceveva Cabrini! La cosa incredibile è che continuo a riceverle anche oggi. L’aspetto curioso è che le lettere giungono all’indirizzo di casa di mia mamma, una signora di oltre 90 anni con un caratterino niente male. Lei mi rimprovera sempre: dice che dovrei rispondere a tutti”.
Hai altri ricordi legati alle Poste di quel periodo?
“Beh, come potrei dimenticare quel magnifico francobollo commemorativo dell’evento, emesso da Poste Italiane? Le mani di Dino Zoff nell’atto di alzare la Coppa del Mondo, con disegno realizzato da Renato Guttuso. Emozione e arte allo stato puro”.