“Nella comunicazione di oggi, diciamoci la verità, c’è grande confusione: tra telefonini, smartphone e cellulari vari, i messaggi rischiano sempre di confondersi tra loro. Tutto l’opposto rispetto a ciò che accade grazie a quella bella busta, tradizionale, delle Poste: tu metti dentro la lettera, apponi il francobollo e, quasi per incanto, il gioco è fatto”: parole di Ricky Tognazzi, che racconta le emozioni che lui stesso prova di fronte a una modalità di comunicazione così intima e tradizionale, alla quale si sente ancora fortemente legato. L’occasione consente anche di parlare della sua vita, della professione e del rapporto con le persone a lui più care, come la moglie Simona Izzo e l’indimenticato papà Ugo.
Ricky, sei accanto a una donna che definire un “vulcano” è forse un eufemismo: c’è una cosa che non le hai mai detto e che, invece, vorresti dirle, magari scrivendoglielo su una lettera?
“Devo dire che, nel corso degli anni, ho scritto molte lettere a Simona. Qualcuna anche consegnandola a mano, senza il timbro postale, magari appoggiandogliela sul letto o sulla scrivania, a seconda del tono e del contenuto. Lettere d’amore, certo: ma anche lettere nelle quali volevo chiarire delle cose con lei, magari dopo una sana discussione, così come avviene all’interno di qualsiasi coppia. In fin dei conti, la scrittura ti aiuta ad approfondire, a comprendere meglio quello che ti sta accadendo. Le emozioni filtrate attraverso la parola scritta sono sempre un momento di approfondimento molto significativo. E, dunque, anche se io e mia moglie siamo sempre insieme, a volte, di notte, mi metto lì a scriverle delle lettere. Anche Simona scrive molto ma, per farlo, utilizza spesso il suo cellulare. Mentre io, come avrete capito, sono ancora fortemente legato alla carta, alla penna e alla buca delle lettere”.
Quali sono i tuoi programmi per l’inverno?
“Dopo un’estate dedicata a papà, io credo che quest’inverno realizzeremo, insieme a Simona, una miniserie tv, sempre con il supporto delle persone con le quali abbiamo lavorato di recente. E sempre sulla stessa rete e sullo stesso canale. Non voglio tuttavia svelare di più, perché voi sapete quanto io sia scaramantico e quanto possa essere pericoloso svelare progetti non ancora realizzati”.
Viene celebrato quest’anno il centenario di tuo papà Ugo Tognazzi, uno dei più grandi interpreti del cinema italiano. Per ricordarlo, su Rai2, in prima serata, è andato di recente in onda il documentario “La voglia matta di vivere”, da te diretto, in cui hai disegnato un toccante ritratto di tuo padre, come attore e come uomo.
“Ho dedicato interamente quest’anno a portare in giro per tutta l’Italia il ricordo di Ugo. Spesso, in un recente passato, mi succedeva che qualcuno, incontrandomi, mi chiedesse di come stesse mio padre. E io lì a spiegare che, purtroppo, mio padre non c’era più. Notavo in queste persone la vergogna e il rammarico per aver commesso quella che, loro stessi, definivano una imperdonabile gaffe. Ma, per me, non è mai stato così. Anzi, si trattava di una cosa bella, da apprezzare. Perché ciò stava a significare che gli artisti vivono per sempre attraverso le loro opere. Oggi, questa “gaffe emotiva”, mi capita tuttavia meno spesso di sentirla. E, dunque, quest’anno per il centenario, con i miei fratelli (Gianmarco, Thomas e Maria Sole), abbiamo deciso di scrivere un libro, dal titolo “Ugo”. Si tratta di quattro punti di vista, quattro ritratti diversi su mio padre”.
E poi, come accennato, eccoci a “La voglia matta di vivere”.
“Si tratta di un ricordo intimo e affettuoso, un po’ spudorato, come era mio padre, che racconta non solo la sua carriera ma anche il dietro le quinte, con questa capacità che aveva lui di comunicare con tutti noi e con una famiglia allargata. Nel documentario è anche descritta la sua capacità di vivere intensamente e di affrontare questo lavoro di attore, così particolare, mettendo sempre se stesso in primo piano”.
La presenza di Ugo è forte e ti ha offerto un binario sul quale orientarti per tutta la vita. Ma, come già abbiamo accennato, nella tua vita è molto forte anche la presenza di tua moglie, Simona Izzo. Quanto ti è stata vicina nella redazione del documentario?
“Simona, nella vita, è il mio braccio destro e forse anche il sinistro. Lei, assieme a Valentina Pattavina, mi ha anche aiutato molto in questo documentario, firmando la sceneggiatura e contribuendo a strutturare in modo adeguato questo viaggio emotivo. Simona, non a caso, ha conosciuto bene mio padre, così come tutti i miei fratelli. Lei è stata una spinta, un impulso, un alter ego con cui dibattere e, a volte, anche litigare amabilmente sulle scelte da fare”.
E nella tua vita, cosa rappresenta tua moglie Simona?
“Ultimamente nella vita facciamo tutto insieme: quando lei dirige i film, io mi metto sul trespolo e le chiedo come mai non faccia questo o quest’altro e lei mi risponde sempre di stare zitto (ride, ndr). La stessa cosa capita quando sono io a dirigere. Insomma, ci controlliamo a vicenda. Sono 37 anni che viviamo insieme e dunque vi è un’intesa ormai collaudata”.
Hai spesso raccontato che, in svariate occasioni, è capitato che qualcuno ti chiamasse per sbaglio Ugo, con il nome di tuo padre. Ti è mai arrivata una lettera che era indirizzata a nome suo?
“I fan di mio padre, e anche i miei, ormai comunicano tra loro tramite i social. Ma ne esistono ancora tantissimi che utilizzano le lettere postali per scrivermi. Quando mi viene recapitata una lettera scritta a mano, col mittente dietro e con un bel francobollo, mi emoziono sempre tanto. E colgo l’occasione per ringraziare Poste Italiane, che ha già realizzato ben due francobolli come omaggio a papà: uno, in occasione del trentennale dalla sua scomparsa e uno, bellissimo, per questo centenario”.
Cosa ti scrivono, nelle lettere, i tuoi fan e quelli di tuo padre?
“Sono sempre lettere molto affettuose, nelle quali ci fanno i complimenti e ci ringraziano per quello che abbiamo fatto per il cinema. Il tutto arricchito da una storia o da un aneddoto che racconta il momento della loro vita nel quale hanno conosciuto mio padre. Queste lettere le conservo tutte e, spesso, rispondo. La posta, dopotutto, è sempre una cosa emozionante”.
Isabella Liberatori