felix varela

La moderna coscienza cubana molto deve alle lettere di Felix Varela y Morales (1788-1853), sacerdote, filosofo, politico, pedagogo e patriota del XIX secolo, figura carismatica singolare, perfino avventurosa che sta per essere proclamato beato dalla Chiesa cattolica. La sua visione filosofica, umana e politica è riassunta nell’importante raccolta di “Lettere a Elpidio”. Al suo insegnamento sociale e politico si richiama José Martì, altro padre della patria cubana e perfino la rivoluzione di Fidel Castro. Tre papi (Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e Francesco) ne hanno tessuto le lodi visitando Cuba.

La peculiarità cubana

Il pensiero di Varela certifica la singolarità di Cuba nel saper amalgamare istanze sociali progressiste e visione cristiana della vita e della storia. “Varela è un uomo singolare – ha scritto il vescovo Vincenzo Paglia postulatore della sua Causa di Beatificazione giunta ormai a conclusione – Credo che Varela possa essere un ponte tra America del Nord, Cuba e America Latina. E oggi noi abbiamo bisogno di questo ponte, perché se continuiamo ad essere divisi il mondo sarà peggiore. Per questo, il mio sogno è che la beatificazione di Varela avvenga nella prima tappa all’Avana e poi anche a New York”. Parecchio del pensiero sociale e politico innovativo è racchiuso nelle sue Lettere datate tra il 1806 e il 1850, anno della sua morte. Del suo abbondante epistolario si conservano circa 75 lettere a destinatari diversi. Le più celebrate sono “Lettere a Elpidio”, simbolico destinatario che indica la speranza. Puntavano a istruire la gioventù cubana sulle virtù necessarie per formare una solida Nazione. Lettere a Elpidio non furono fortunate: non incontrarono buona accoglienza tanto che dopo i primi due volumi, dedicati all’empietà e alla superstizione, Varela rinunciò a scrivere il terzo sul fanatismo.

Il problema della superstizione

Eduardo Torres-Cuevas, il più autorevole storico di Varela, osserva che la critica contenuta nelle Lettere a Elpidio era intollerabile per l’oligarchia coloniale che allora governava l’isola caraibica. Attraverso sei lettere, il primo volume mette in guardia contro l’empietà dei politici che fingono di credere in Dio solo per conquistare la fiducia del loro popolo. Tre anni dopo, il secondo volume affronta in cinque lettere il problema della superstizione. Credeva che la superstizione fosse un ostacolo che impediva all’umanità di riconciliare tutte le altre differenze, unita attorno a un vero Dio. Chiaro l’intento di tracciare un cammino verso una Nazione migliore, costruita sulle virtù solide cristiane. Non c’è da meravigliarsi quindi che abbia concluso l’ultima lettera al primo volume confidando a Dio un desiderio da morente per una futura prospera nazione cubana. “Mi getto nelle braccia della tua clemenza, senza altro merito che quello del tuo Figlio, e guidato dalla fiaccola della fede mi incammino verso il sepolcro sull’orlo del quale attendo di compiere, con la grazia divina, il mio ultimo respiro, una presentazione della mia ultima ferma convinzione e un fervido voto alla prosperità della mia patria. Arrivederci! Elpidio, !Arrivederci!”.

Il pensiero di Ratzinger

In una lettera sull’empietà Varela scrive: “Si ricordano i gemiti delle vittime ma non si ricordano le colpe di chi le immola; non si ricordano le cause di tanti sacrifici, se ne inventano altre che siano meno odiose e che coprano con il velo della prudenza gli effetti dell’iniquità. In questo modo si incatenano e imprigionano i popoli, mio caro amigo, e non importa nulla che le chiavi di questo carcere orrendo stiano in una o in molte mani”. Papa Wojtyla ha definito Felix Varela “vero padre della cultura cubana… pietra angolare della nazionalità cubana. Egli costituisce di per sé la sintesi migliore che possiamo trovare tra fede cristiana e cultura cubana”. Per papa Ratzinger Varela “è passato alla storia di Cuba come il primo che ha insegnato al suo popolo a pensare. Il Padre Varela ci presenta la strada per una vera trasformazione sociale: formare uomini virtuosi per forgiare una nazione degna e libera”. Nella Lettera pastorale del 2013 i vescovi cubani scrivono: “Vogliamo rivolgerci, ora, ai giovani con le parole sempre attuali di padre Félix Varela, che in sé ispirano un degno progetto di impegno sociale: «Non esiste la patria senza la virtù, né la virtù con l’empietà». E queste ultime parole sono contenute nella sesta Lettera a Elpidio, dove tra l’altro anticipa uno dei pensieri divenuti comuni nell’insegnamento sociale della Chiesa sul primato del bene comune rispetto al bene individuale. Le Lettere a Elpidio segnano, secondo gli studiosi, la completa maturazione del pensiero politico e sociale di Felix Varela, sacerdote profugo e santo.