La Storia delle Poste Italiane cammina assieme alla Storia d’Italia, qualche volta anche precedendola, per farci diventare quello che siamo oggi. Comincia un anno dopo. Nel 1861 nasce il Regno d’Italia. E il 5 maggio del 1862 vennero fondate le Regie Poste, che gestivano in monopolio i servizi postali e telegrafici per conto dello Stato, divenendo in seguito, fino al 1998, un ente pubblico. Appena nate, negli anni in cui il Paese deve ancora consolidarsi, contribuiscono all’unità della Nazione.
Un Paese in rete
La posta e il telegrafo, soprattutto dopo il 1896 quando Guglielmo Marconi brevetta il telegrafo senza fili, permettono di raggiungere a una velocità allora sorprendente e in modo sempre più capillare tutto lo Stivale e le sue isole. Chilometri e chilometri di cavi e pali mettono in rete l’Italia, la uniscono e aiutano la gente a comunicare. Lettere, cartoline e telegrammi fanno sì che gli abitanti di una terra frammentata, divisa da lingue e culture diverse e lontane, imparino a conoscersi e a capirsi. A diventare italiani. Il postino è da subito una figura quasi leggendaria. Deve saper leggere e scrivere – che non è una cosa da tutti, visto che gli analfabeti erano nel 1870 il 73 per cento della popolazione – e conoscere un po’ di francese, la lingua parlata da Casa Savoia. I postini indossano una giacca nera, con otto bottoni e dei fregi rossi sulle maniche, pantaloni grigi, un berretto a visiera con lo stemma del Regno, e a tracolla una borsa di cuoio color terra di Siena un po’ consunta dove tengono la posta da consegnare. Entrano in contatto con la gente, soprattutto nei paesi più isolati, la aiutano nelle operazioni giornaliere, portano notizie e conforto, in un mondo ancora separato da distanze incolmabili, perché viaggiare è pericoloso e le linee ferroviarie sono scarse o inesistenti.
La rivoluzione del risparmio
Nella crescita del Paese, poi, una tappa fondamentale è quella dei libretti di risparmio, che le Poste cominciano ad offrire dal 1876. La legge è stata votata in Parlamento un anno prima, dopo aver superato con una certa fatica la resistenza opposta delle Banche, che non gradivano troppo ritrovarsi tra i piedi questo nuovo concorrente. Fino a quel momento il risparmio riguardava essenzialmente le classi più agiate e soprattutto le città, con un interesse particolare per i titoli pubblici, che garantivano un rendimento sicuro. La capillare diffusione del risparmio attraverso le istituzioni postali rappresenta una vera e propria rivoluzione, perché incentiva la raccolta anche nei più piccoli centri sparsi sul territorio, raggiungendo in breve tempo dimensioni ragguardevoli. L’iniziativa è rivolta per la prima volta ai piccoli risparmiatori, diffondendo questa forma di educazione economica a tutta la popolazione. Perché ciò accada, vengono coinvolti gli insegnanti, che dedicano parte delle loro lezioni a questa nuova materia. I maestri hanno a disposizione un registro e una specie di libretto per il risparmio collettivo su cui segnano i versamenti ricevuti dagli scolari. Quando il bambino raggiunge una lira, viene subito aperto a suo beneficio un libretto personale. Nel primo anno sono più di 500 gli insegnanti coinvolti e undicimila i bambini che effettuano versamenti per 32mila lire, cioè più della metà di tutto il risparmio raccolto nel 1876, che è di 57mila lire. Nel 1887 i maestri sono diventati 5400 e 87mila gli scolari che hanno versato 500mila lire. Ma la rivoluzione non si ferma qui. Nel 1901 nei libretti degli italiani ci sono 4 milioni e 300mila lire. E oggi la raccolta ammonta a circa 269 miliardi di euro, mentre i conti correnti sono 5,6 milioni.
Pionieri dei tempi moderni
Nell’Italia che cambia gli uomini delle Poste sono come dei pionieri. Nel 1886, a Venezia, il gondoliere Francesco porta in giro la posta per le succursali della città, scivolando silenziosamente sui canali. In quell’anno, con una fideiussione prende in mano la ricevitoria di Murano e la fa diventare una piccola attività familiare. Quasi un secolo dopo, nel 1950, quando la nuova direttrice, Angelina, entra in quell’ufficio, molte cose sono rimaste come allora. È cambiato il lavoro, però. E cambierà ancora molto. Quella che è rimasta quasi immutata è la figura del postino. Maria Brusa, detta Eugenia, da Domodossola, fa la portalettere in 9 frazioni della Val Formazza, fra i bricchi e le tempeste di neve, per i sentieri accidentati di quei monti. Li attraversa in bicicletta dal 1933, e continua a farlo negli Anni Cinquanta. Lei non è solo una postina, è anche un gazzettiere che porta le notizie dei paesi vicini, racconta di quello che è tornato dall’America e di quell’altro che si è sposato domenica, e annuncia che il capocantiere Edison di Vado ha messo a disposizione di chi vuole la tv nella sua baracca, per guardare “Lascia o raddoppia?”. Nel 1954 la Rai ha cominciato le sue trasmissioni con gli impianti di ponti radio della rete postale. Ci sono sempre le Poste nella crescita del Paese. E l’Eugenia è una importante perché è la prima donna che convince l’azienda a lasciarle indossare i pantaloni per combattere il freddo e la neve, andando contro le volontà del Regime, che preferiva le donne a casa e comunque sempre e solo con le gonne.
L’Italia che va di corsa
Ma da allora in poi, con il boom economico, l’Italia corre, e il ruolo delle donne nelle Poste continua a crescere. Assieme alla rivoluzione tecnologica. Nel 1967, alla tv Raffaella Carrà, Gianni Morandi e Corrado fanno la pubblicità per spiegare che cos’erano quegli strani numeri da scrivere assieme all’indirizzo. È il Cap, attivato il primo luglio di quell’anno. Le prime due cifre indicano la provincia, la terza se è un 1 il capoluogo, la quarta e la quinta si riferiscono alla zona postale della città. Si vedono due fidanzatini che si salutano. “Mi scriverai?”, chiede lei. “Cosa?”, domanda lui. E dietro di loro appare Corrado: “90600, il numero di codice della sua città. Scambiatevi il vostro amore eterno, ma anche il vostro codice”. E poi si rivolge al pubblico: “Codice di avviamento postale. Cap. Capito?”. Molte cose stanno per andare in soffitta, a cominciare dalla posta pneumatica. Ma non solo quello. Negli Anni 80 c’è l’Isa, Impianto di Smistamento Automatizzato, un fiume di lettere che scorre sui nastri. Oggi ci sono le mail. E il postino porta i pacchi. Gli sportelli sono diventati un tramite della modernizzazione, un lavoro di consulenza e di appoggio, molte volte. Anche Olga, Vittoria e Annamaria, tre sportelliste di Milano, quando tornavano nel loro ufficio da pensionate a salutar le colleghe, quasi non lo riconoscevano più. Negli Anni 70, qualche impiegato usava ancora le mezze maniche per i lavori polverosi e alcune donne indossavano un grembiule nero, vecchio retaggio dei tempi andati. E il resto, ancora di più, era tutto nuovo, anche se erano passati solo una decina d’anni: le stanze, gli scaffali, le bacheche, i formati per le informazioni, i desk, come li chiamano adesso, i moduli. I corsi di informazione sono diventati corsi di aggiornamento. Prima imparavi le regole di rendicontazione dei vari servizi. Oggi al posto del registro del dare e avere, si parla di ciclo attivo e passivo, di consuntivo e budget. Da allora il tempo non si ferma più. Nelle filiali trovano spazio uffici con un numero maggiore di sportelli e sale consulenza per la sottoscrizione dei prodotti finanziari.
L’inclusione nell’era digitale
Le Poste Italiane si trasformano da ente statale ad azienda moderna, aprendo la strada a una evoluzione ancora più profonda e impattante, che ha finito per ridisegnare le modalità dei pagamenti e avvicinare ai servizi bancari anche quella parte d’Italia che era rimasta un po’ ai margini. Si sono adeguate ai tempi. Nel 2000 hanno lanciato il sito www.poste.it che offre i primi servizi online, con la possibilità di pagare bollettini di conto corrente e il servizio di track&tracing, per tracciare le spedizioni. Poi è nato BancoPosta on line, che consente ai correntisti di svolgere le operazioni sul web. La modernità è piena di parole inglesi, di smartphone, software e digital skill, o competenze digitali, chiamatele come volete. Eppure, c’è una cosa che non è mai cambiata, perché appartiene alla sua Storia e ne è il suo tratto distintivo. È la politica di inclusione. Quella delle maestre che educavano al risparmio i bambini, dei postini che insegnavano a leggere, di Maria Brusa che teneva legati al mondo i contadini della Val Formazza e di tutte le donne che come lei hanno dovuto lottare per avere il posto, e che oggi sono 74mila in quest’azienda, il 53 per cento del totale. È questo che ha fatto grande le poste, aver camminato con lo scorrere del tempo senza lasciare mai indietro nessuno.
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