Benedetto XVI ha scritto tre Lettere encicliche. La quarta, sulla fede, è rimasta non finita a seguito della rinuncia al pontificato. L’ha completata e firmata papa Francesco. La prima, Deus caritas est, sull’amore di Dio e del prossimo è la preferita da Ratzinger. È quella che ha sorpreso di più e presenta il punto di vista programmatico del suo pontificato. Alla sua morte, di questa Lettera – nella marea di scritti, dibattiti, servizi della stampa internazionale e delle televisioni – si è parlato pochissimo. Poco si è parlato anche dell’altra enciclica, Caritas in veritate, con linee innovative di dottrina sociale sull’economia, i mondi produttivi del lavoro e dell’impresa. Ma è la terza sua enciclica a rischio di dimenticanza. Forse perché parla della speranza, una prospettiva positiva della vita e della storia che ai giorni nostri si fatica molto a mantenere e sperimentare.
L’energia del pontificato
Il Covid ha spaventato l’Occidente scientifico, tecnico e informatico più della guerra, tanto che anche di fronte al conflitto ucraino si hanno certezze maggiori: una guerra causata dall’uomo è più gestibile di una pandemia proteiforme giunta dall’ignoto. La Lettera Spe Salvi (nella speranza siamo stati salvati) è invece una chiave per cogliere l’energia interiore del pontificato di Benedetto, rifuggendo dalle banalità che comporta l’attardarsi nei mondi della ragione chiusa, piuttosto che navigare nei mari immensi della ragione aperta. Non considerarla per capire il messaggio lasciato in eredità da Ratzinger, sarebbe come per un’auto viaggiare con un faro solo in una notte oscura e tempestosa. “La fede è speranza” si legge nell’introduzione della Lettera. Ragionare di speranza cristiana aiuta in qualche modo a liberare Ratzinger dal superficiale accostamento del più innovativo prefetto del Novecento della Dottrina della Fede all’immagine del “pastore tedesco” per considerarlo come lui stesso si definì il giorno dell’elezione: “umile e semplice lavoratore nella vigna del Signore”.
La profondità dell’animo
Adatto, tuttavia, a illuminare di luce il senso del vivere e del morire umano in prospettiva cristiana. “Il mio intento di fondo – ha scritto una volta – è sempre stato quello di liberare dalle incrostazioni il vero nocciolo della fede, restituendogli energia e dinamismo. Questo impulso è la vera costante della mia vita”. La conferma di ciò si ha nella Spe Salvi dove – tra l’altro – mette a confronto le grandi speranze storiche che si sono succedute nei secoli sino alla rivoluzione sociale che prometteva una sorta di paradiso in terra. La speranza cristiana non viene contrapposta alle speranze mondane ma pensata come la più capace di giungere a toccare la profondità dell’animo umano con le sue paure, le sue angosce, i sogni di un mondo nuovo e possibile. Non si tratta infatti di speranze per cui grandi uomini come lo schiavo Spartaco o l’intellettuale Marx hanno consumato la vita lasciando i loro seguaci nella delusione di non poter vedere realizzate quelle società di libertà, uguaglianza, giustizia e fraternità che hanno assorbito e motivato generazioni rimaste senza esito. La speranza cristiana è una persona, Gesù di Nazaret, che costituisce il tassello di congiunzione dell’umano con Dio, l’unico che riscatta anche dalla morte.
Nessuno si salva da solo
Nell’epoca moderna e specialmente nell’Occidente progredito la speranza cristiana è sbiadita e rischia di lasciare il posto ad altre speranze animate dalla scienza e dal consumismo, facendo la fine di speranze ora obsolete. Nessuno vive da solo, nessuno si salva da solo, ricorda Ratzinger che chiarisce fin in fondo il concetto cristiano di speranza. “La nostra speranza è sempre essenzialmente anche speranza per gli altri; solo così essa è veramente speranza anche per me. Da cristiani non dovremmo mai domandarci solamente: come posso salvare me stesso? Dovremmo domandarci anche: che cosa posso fare perché altri vengano salvati e sorga anche per gli altri la stella della speranza? Allora avrò fatto il massimo anche per la mia salvezza personale”. Questo è anche il modo di intendere il Dio cristiano che fonda la speranza e che Ratzinger pensa come “Colui che conosce anche la via che passa per la valle della morte; Colui che anche sulla strada dell’ultima solitudine, nella quale nessuno può accompagnarmi, cammina con me guidandomi per attraversarla: Egli stesso ha percorso questa strada, è disceso nel regno della morte, l’ha vinta ed è tornato per accompagnare noi ora e darci la certezza che, insieme con Lui, un passaggio lo si trova”.