Ne è passato di tempo da quando chiudevano le buste con la ceralacca. Si può dire che da sempre se non ci fossero state le Poste non sarebbero arrivate le notizie. In fondo, i primi giornali del mondo sono le lettere. Sono loro che diffondono le notizie. Notizie private e personali. Ma sono notizie. Viaggiano grazie agli ambulanti postali, uffici mobili che si muovevano su carrozze tradizionali e, più avanti, anche ferroviarie, destinate al disbrigo delle pratiche nel corso di queste lunghe trasferte: le lettere venivano suddivise da alcuni addetti secondo l’ordine delle fermate. Era così possibile imbucare le corrispondenze durante le soste del treno nelle cassette applicate sulle carrozze o nei locali appositi delle stazioni. Ma anche quando il mondo cambia e cominciano a diffondersi i giornali, il sistema è sempre lo stesso e gli articoli dei cronisti arrivano solo attraverso le Poste alle redazioni dei giornali per essere impaginati. In Italia i quotidiani cominciano a crescere assieme all’Unità d’Italia. Il primo a credere nell’informazione è proprio Cavour, che ne ha capito l’importanza. Nel 1853 il patriota veneziano Guglielmo Stefani, emigrato a Torino, e già direttore della Gazzetta Piemontese del Regno, fonda, per espressa e insistente volontà del Conte, la prima agenzia di stampa italiana. A Torino ci sono anche la Gazzetta del Popolo e la Gazzetta Piemontese di Vittorio Bersezio che diventerà La Stampa. Ma il giornale più venduto è a Milano, Il Secolo dell’editore Edoardo Sonzogno, l’unico che tira più di tremila copie.
Un lusso quotidiano
Quei fogli sono uno status symbol, perché lo leggono solo i borghesi più colti e più ricchi, in un Paese in cui l’analfabetismo tocca vette assurde con una media del 78% (in Sardegna del 91). Comprare un quotidiano viene considerato un lusso che si può permettere chi ha tempo e soldi da sprecare. Come le lettere, in fondo, che potevano scrivere solo quelli che avevano studiato. La trasmissione degli articoli è complicata, perché il servizio dei treni nasce in ritardo (la prima ferrovia è la Napoli-Portici, nel 1839, ma la Torino-Genova è solo del 1855). Per raggiungere le località che non erano direttamente servite dalle carrozze ambulanti, venivano utilizzati i cosiddetti “messaggeri”: nel 1887 sono ancora la bellezza di 228 sparsi su tutto il territorio. Prima della diffusione del telegrafo, la posta (e quindi gli articoli) dalla Sicilia viaggiava solo sulle navi, con tempi lunghissimi. Il primo giornale a buttarsi nella modernità, cogliendo subito le innovazioni dei servizi postali, è il Corriere della Sera, fondato il 5 marzo 1876 da un ragazzotto napoletano, garibaldino sanguigno, che ha lavorato anche con Alexandre Dumas, Eugenio Torrelli-Viollier. È fatto da tre redattori e quattro operai. Il corrispondente da Roma lavora gratis. Il giornale ha un concorrente fastidioso, Il Secolo, che vende tanto e ha più soldi da investire. Si avvale di servizi telegrafici non solo da Roma e Milano, ma anche da Parigi. Da quando nel 1844 Samuel Morse aveva connesso Washington con Baltimora e inviato il primo messaggio ufficiale, fu ovvio che questa nuova tecnologia avrebbe avuto un enorme impatto sull’industria dei giornali. Ma il telegrafo sarebbe stato un amico o un avversario?
La svolta del telegrafo
I giornali a quell’epoca erano tremendamente lenti, perché ricevevano notizie solo via posta. Secondo James Gordon Beckett, direttore ed editore del New York Herald, il telegrafo avrebbe messo molti giornali fuori dal mercato, perché qualsiasi notizia sarebbe arrivata prima all’ufficio del telegrafo, e i quotidiani assieme a chiunque altro avrebbero dovuto aspettare per riceverle. Le stazioni del telegrafo avrebbero instaurato un nuovo monopolio sulla distribuzione delle notizie e avrebbero potuto vendere al miglior offerente un accesso prioritario. Il telegrafo sarebbe diventato quindi il nuovo giornale. In realtà, il telegrafo ridisegnò sì l’industria dei giornali, ma non così. Perché anche se i suoi cavi potevano diffondere le notizie più rapidamente, avevano il problema dell’ultimo miglio, non potevano distribuire velocemente quelle notizie a migliaia di persone. Solo la carta stampata poteva farlo. Alla fine, anziché mettere i giornali fuori commercio, aumentò le loro vendite. E le compagnie non imposero mai il monopolio sulle informazioni, come temeva Beckett. In Italia, chi potenzia più di tutti l’uso del telegrafo è proprio il Corriere, e i risultati si vedono. Da fogli politici i giornali diventano organi di informazione. E a Roma nasce il Messaggero, che punta solo sulla cronaca, raggiungendo presto un buon successo. È cambiato completamente il panorama. La platea borghese si sta allargando con la crescita economica e i giornali non sono più soltanto dei fogli locali portatori esclusivamente di un’idea di partito o della volontà del padrone. È cresciuta l’informazione e il giornalista non può più restare un intellettuale polemista. Se il primo inviato speciale del giornalismo italiano era un redattore della Gazzetta del Popolo, un “borgataro” romano, reduce garibaldino, che finirà in carcere per un omicidio, adesso questa diventa una professione decisamente borghese, espressione della nuova società che la esprime.
L’arrivo di radio e televisione
E col passar degli anni il cambiamento si fa ancora più forte. La seconda rivoluzione è del Novecento, ed è quella della Radio e soprattutto della televisione, che da noi ha una gestazione molto lunga, ma una diffusione velocissima. Le prime ricerche vennero avviate nel 1929 a Milano e la prima dimostrazione pubblica è del 1932, limitandosi però a utilizzare soltanto apparati tecnici di produzione tedesca: nonostante la propaganda di regime, non si va oltre lo studio di quello che accede all’estero. La guerra poi ferma qualsiasi sviluppo, e le sperimentazioni e le ricerche riprendono solo nel 1949, con l’avvio della fase di forte espansione della Rai. Il primo studio nasce a Torino con tecnologia americana, mettendo in onda anche la prima trasmissione sperimentale l’11 novembre dello stesso anno. Da lì in avanti la tv corre e il 3 gennaio 1954 l’annunciatrice Fulvia Colombo dà l’avvio delle trasmissioni regolari della Rai, presentando il primo programma: “Arrivi e partenze”, condotto da Mike Bongiorno. In pochi anni, il consumo di televisione in Italia assumerà un’importanza e un valore inimmaginabili in altri Paesi europei. La Rai assieme agli organi tecnici del Ministero delle Poste, con la costruzione e il continuo aggiornamento delle infrastrutture radiotelevisive, ha svolto un ruolo di traino determinante per l’ammodernamento tecnologico dell’intero sistema italiano delle telecomunicazioni, con ricadute importanti nei settori industriali collegati. Perché alla fine non è passato solo tutto il tempo che ci voleva dalla ceralacca e gli ambulanti postali. è che forse qualche volta non l’abbiamo sprecato. Siamo diventati grandi. Anche facendo viaggiare le notizie, dalle lettere ai giornali e alla tv. Sempre sotto lo stesso segno. C’è Posta per te.
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