Lettere nella storia: quando Don Milani scrisse “il mio Franco disoccupato”

Sul lavoro e le brucianti questioni che porta con sé specialmente per i lavoratori, si potrebbero leggere con profitto ancora oggi due lettere di don Lorenzo Milani, famoso autore di altre Lettere pubbliche come quella a una professoressa. Le due Lettere sul lavoro, al tempo della loro comparsa (1949 e 1958), crearono scompiglio e accesi dibattiti nell’ambito politico e anche nella Chiesa, non preparata a denunce tanto taglienti dalla penna di un prete colto e libero di cuore e di mente.

Un prete da imitare

La prima lettera, a Franco, apparve su “Adesso” foglio fondato da un altro prete straordinario, don Primo Mazzolari. La lettera a don Piero conclude invece il celebre volume di Milani “Esperienze pastorali”, messo all’indice appena pubblicato, ma negli anni rivalutato fino a indurre papa Francesco a riconoscere don Milani un prete esemplare da imitare. Non a caso Francesco ha trattato tanto della “cultura dello scarto”. E in realtà l’autore scrive da prete, ma riesce a scuotere anche l’ambito politico, sindacale, culturale. In una visione positiva della storia, Milani scrive anche una lettera per i futuri missionari cinesi che, in un futuro più o meno remoto, potrebbero approdare in Etruria – antica Toscana – per evangelizzare una terra divenuta pagana per insipienza della pastorale, dimentica della condizione d’ingiustizia dei poveri: “Non abbiamo odiato i poveri come la storia dirà di noi. Abbiamo solo dormito…Quando ci siamo svegliati era troppo tardi. I poveri erano già partiti senza di noi… sarà il Cristo a rimediare alla nostra inettitudine. È Lui che ha posto nel cuore dei poveri la sete della giustizia”. Questa lettera è firmata da “un povero sacerdote bianco dalla fine del II° Millennio”.

La questione dei preti operai

Don Milani resta un prete e un autore scomodo e lo conferma anche nella Lettera a don Piero che conclude il volume di Esperienze pastorali. Venne inserita nel volume perché Milani non trovò “un foglio adatto” su cui pubblicarla. Egli vi mise mano “la sera stessa del licenziamento di Mauro” un bambino di 12 anni, suo parrocchiano. Era il periodo (metà anni Cinquanta) della polemica sui preti operai che per molto tempo ha evidenziato un rapporto, quello tra preti e operai “ben aperto e cocente”. La Lettera a don Piero tratta di lavoro minorile che impedisce ai ragazzi di poter studiare, di licenziamento che “paralizza chi lavora” e di assunzione che “paralizza i disoccupati” a motivo del potere eccessivo e insindacabile del datore di lavoro che promette, toglie e dà a sua discrezione. L’una e l’altra cosa “possono fare di un uomo un cencio”.

Una lettera amarissima

La lettera a Franco dette modo in seguito a don Milani di ripensare sui limiti della raccomandazione per avere lavoro. “Il mio Franco è di nuovo disoccupato. M’ha chiesto di accompagnarlo su e giù per le scale degli industriali per cercargli un altro lavoro”. Inizia così la lettera amarissima che prende spunto da un episodio reale, un parrocchiano di don Milani che prosegue aprendo una parentesi: “Le raccomandazioni sono una cosa giusta o ingiusta? Che ne so io? Ma dovevo dirgli di no al mio Franco disoccupato?… Come s’aprono facilmente ai preti oggi le porte degli uffici. Che è bello questo? Che lo so io? ma che dovevo dire di no quando il mio Franco è disoccupato?)”. A Franco don Milani ricorda che si vive in un mondo ingiusto: “Quando sarai più grande e io più buono lo muteremo assieme. Per ora perdonami, non ho da dirti altro che una parola vecchia… La dico solo a te in un orecchio, perché tu puoi capirla: Perdonaci tutti: comunisti, industriali e preti. Dimenticaci, disprezzaci, fai quel che vuoi, ma il tuo Signore, non lo lasciare, Franco. Abbi il coraggio di prendere la Sua croce, portala con fiducia. Non ci hai che Lui che t’abbia amato”.

Il riconoscimento di Parolin

Un prete brusco e un giovane disoccupato. Una delle tante storie di lavoro non estranee neanche all’oggi. Il lavoro continua a rappresentare una questione nazionale e mondiale, tallonata dall’ingovernabile cambio di epoca. Il potere trasformativo dei rapporti sociali e personali indotto dall’universo informatico è sbalorditivo. Don Milani torna attuale. Lo ha riconosciuto il cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato vaticano inaugurando all’Università Lateranense una mostra fotografica per il centenario della nascita di don Milani, priore di Barbiana. “Quello è stato un laboratorio di vita vissuta e una risposta all’emergenza educativa nella quale il cammino nella fede si è saputo coniugare con la formazione, la cultura e la conoscenza – ha detto – Alle giovani generazioni sono stati offerti lo spazio e gli strumenti di apertura alla realtà sociale, all’inserimento nella vita lavorativa e ad un impegno anche di tipo politico in cui proprio il credere diventava la base per aprirsi e dialogare con tutti”. Un’esperienza che fece vivere già allora l’idea di “un modo che si apriva ben al di là dei confini di uno Stato o di un continente”. Barbiana un metodo per superare la logica del fare scuola, di insegnare e di formare secondo lo schema – che è purtroppo una radicata convinzione – del ‘si è sempre fatto così’.