Francesco Billari, 53 anni, professore di Demografia, dal primo novembre 2022 è il nuovo Rettore dell’Università Bocconi.
Una vocazione internazionale che non dimentica la forte tradizione e il prestigio che la accompagna da sempre: com’è la Bocconi del 2023?
“Dobbiamo proseguire sulla traiettoria che ci ha portato fino a qui: una traiettoria partita 120 anni fa, radicata nella città di Milano con gli studi di economia e commercio, diventata un’eccellenza italiana e poi, negli ultimi 20 anni, aperta all’Europa e al mondo. Manteniamo solide le nostre radici anche grazie alla presenza di questo campus urbano bilingue, diventato un’eccellenza dell’Europa continentale. Mi piace pensare che la Bocconi sia come la città di Milano: il sud del Nord Europa, ma anche il nord del Sud Europa o addirittura del Sud del mondo. Non siamo poi così lontani dal Mediterraneo e dalle coste dell’Africa”.
Lei, viste le sue radici, è un buon esempio di questa rappresentazione.
“Sono nato a Milano da padre calabrese e madre siciliana, quindi sì, anche io mi sento di rappresentare questa unione tra il nord e il sud. Rappresento una seconda generazione milanese, molto legata dal punto di vista culturale e culinario alle radici meridionali. Questo è anche lo spirito, e il bello, della Bocconi. Una università che ha cresciuto generazioni di ragazzi che venivano da tutta Italia, e adesso da tutto il mondo, per radicarsi qui oppure ripartire per tutto il mondo. Mi trovo pienamente identificato con quello che rappresenta questa università”.
Recentemente, lei ha parlato di ibridazione delle competenze e di trasversalità. In quale modo la Bocconi ha adeguato la formazione a questa nuova direzione?
“Parto da un riferimento autobiografico: ho iniziato insegnando statistica, una materia considerata tra le più ostiche e meno utili. Chi oggi andrà a lavorare in un’azienda o nelle istituzioni, invece, ha la piena consapevolezza del valore dei dati. L’azienda che un tempo non avrebbe voluto vedere le materie quantitative, oggi si deve confrontare con i dati, deve ibridarsi. Anche chi studia scienze politiche non può conoscere come funziona il mondo senza saper leggere i dati. Noi stiamo spingendo questo tema in tutti i nostri corsi. È una caratteristica che ci rende compatibili con la direzione in cui il mondo sta procedendo, ma è anche quello che chiedono i ragazzi oggi: chiedono di poter studiare il mondo immediatamente e, come nativi digitali, per loro i dati sono un punto di partenza in ogni situazione. Oggi la statistica ha vinto in ogni ambito. Non è più la statistica, come si insegnava quando ho iniziato a fare l’assistente nel ’95; adesso è un po’ più ‘sexy’. Lavorare coi dati è diventato il mestiere più ambito tra i giovani e questo mi fa molto piacere”.
Quanto è importante la creazione di un ecosistema formativo e professionale tra grandi imprese e chi eroga la formazione, come è il caso dei principali atenei italiani?
“È fondamentale che le imprese e le istituzioni riconoscano che senza istruzione a livello universitario, post secondario, un Paese non può funzionare. Ci sono delle associazioni, anche di imprese, che enfatizzano l’importanza dell’istruzione tecnica. L’istruzione tecnica va benissimo, ma la parte più innovativa del mondo riceve la spinta dalla formazione universitaria. È importante che le aziende si collochino a supporto del sistema universitario. Per noi è stato sempre il nostro Dna parlare con aziende e istituzioni. Oggi, anche per il resto del sistema universitario, grazie all’aiuto del PNRR, è diventato più chiaro che interagire con le aziende e creare veri e propri ecosistemi sia fondamentale per innovare, perché gli studenti hanno bisogno anche di avere esperienze”.
Poste Italiane ha visto una profonda trasformazione delle competenze richieste per i neoassunti. Quanto pensa che contino l’innovazione e la trasversalità per un’azienda che è anche il principale datore di lavoro in Italia?
“Sicuramente moltissimo. Ho avuto il piacere di insegnare anche ad alcuni dei neodirigenti di Poste Italiane, in SDA Bocconi, School of management. Ho visto un gruppo molto orientato all’innovazione. In un’azienda che ha saputo reinventarsi come Poste Italiane pensare continuamente all’innovazione è fondamentale. Per noi, come università e come scuola di management, diventa fondamentale aiutare le aziende che vogliono essere innovative e cercare di sfidarci personalmente, anche attraverso questa interazione, sfidarci a trovare come le aziende debbano essere innovative. Per innovare bisogna studiare: questo Poste Italiane lo ha fatto e lo ha saputo applicare al cambiamento”.
Lei è professore di demografia, che ruolo può giocare una rete come quella postale nel contenere lo spopolamento e la deriva demografica di cui attualmente soffre l’Italia?
“Ne ho parlato proprio con i neodirigenti: mi spiegavano che Poste è su tutto il territorio nazionale. Abbiamo curato un rapporto sulla popolazione italiana due anni fa. Poco meno di un quarto dei comuni italiani è in decrescita negli ultimi quarant’anni. E perché i comuni sono in decrescita? Perché si crea un circolo vizioso: si fanno meno figli, ci sono meno opportunità per i giovani, si chiudono le scuole. Se la scuola si chiude vanno via anche le poche famiglie che i figli li facevano. I giovani cercano di andare da un’altra parte e il paese piano piano si spopola lasciando solo gli anziani. Quindi, un’azienda, un’istituzione che sta in tutti i comuni italiani può fare una cosa fondamentale: innovare, perché non sempre l’invecchiamento deve essere visto come un problema; l’invecchiamento si può trasformare in una opportunità”.
L’Ad di Poste, Matteo Del Fante, è un bocconiano doc. Come riesce, secondo lei, la Bocconi a coniugare una formazione basata sull’innovazione con uno spirito da civil servant e di conoscenza e rispetto delle istituzioni?
“Risponderei sottolineando che Matteo Del Fante non è solo un ex alunno della Bocconi, ma uno dei nostri Alumnus dell’anno. Si tratta di un top manager, senz’altro attento al business e ai risultati, che però incarna al meglio il profilo del civil servant, consapevole del ruolo sociale che la sua azienda ha per il Paese. Se Poste Italiane rappresenta oggi un caso di successo, grazie alla velocità d’innovazione e all’evoluzione delle competenze delle sue persone, lo si deve anche alla visione strategica e al grande senso di responsabilità di Matteo Del Fante”.
Gli studenti di questa generazione sembrano più decisi a chiedere che le loro difficoltà e i loro bisogni siano riconosciuti e anche rispettati. Lei ha notato dei cambiamenti?
“I giovani chiedono di essere ascoltati e chiedono il rispetto della sostenibilità dello studio e dei tempi di vita e di lavoro, sia nelle università sia nelle aziende. Il nostro compito è quello di formare studenti “future proof”, a prova di futuro. Ragazzi pronti alle prossime tendenze del mondo del lavoro. Le università lo hanno capito e sono attente alle richieste dei giovani, ci aspettiamo che le aziende facciano lo stesso. Molto spesso si sente dire che i giovani italiani vanno all’estero perché non si sentono capiti e apprezzati nel nostro Paese. Io ribalterei la questione: il problema dell’Italia non sono i giovani che partono, cosa fondamentale per la loro crescita e la loro formazione; il problema, semmai, è che l’Italia purtroppo non è altrettanto attrattiva per i giovani degli altri Paesi. Ed è su questo che si deve intervenire”. (Isabella Liberatori)