Una giornata nell’ufficio postale della Comasina: un reportage del Venerdì di Repubblica racconta l’universo che gravita intorno agli sportelli di uno dei quartieri più multietnici di Milano. Tra i clienti, ci sono un collezionista di immaginette sacre che sta vendendo online il suo tesoro e lo spedisce agli acquirenti, un monaco buddista e un signore muto che si fa capire a gesti allo sportello. Ad accoglierli, ci sono il direttore dell’ufficio postale, Umberto, e gli sportellisti Remo, Rosa e Serena, tutti e tre di origini siciliane ma radicati da decenni in Lombardia.
Contenitori di umanità anche nell’ufficio postale della Comasina
Gli uffici postali in Italia sono 12.800, si legge sul Venerdì, piccoli, grandi, in luoghi impervi e isolati, al centro delle città. Una rete capillare e identitaria, presidi di civiltà e di aggregazione, luoghi di assistenza, fornitori di disparati servizi, stati dell’anima, microcosmi pulsanti, contenitori di umanità. “Sono entrato in azienda nel 1984 – racconta il direttore Umberto – con un concorso per periti elettronici. Allora c’erano i telex”. Alla fine degli anni ’90 i tecnici erano diventati troppi per le nuove esigenze delle Poste, lui ha fatto un altro concorso ed è diventato direttore. “Non sapevo la differenza tra raccomandata e vaglia. Ma ho imparato”. Un ricordo? “Ero all’inizio della carriera in ufficio. Una ragazza straniera non aveva i soldi per pagare. Non la conoscevo, glieli ho anticipati. Qualche giorno dopo è venuta a restituirmeli e ha lasciato un biglietto: ‘Non era tenuto a farmi un prestito, ma per me è stato importante che lo abbia fatto’. Quel messaggio è ancora in un cassetto, tra le cose belle”.
C’è sempre una soluzione
C’è un problema. Un buono fruttifero è finito nella lavatrice. “E anche nell’asciugatrice” precisa il titolare. Serena osserva il martoriato rettangolo di carta, il direttore trova una soluzione. Perché c’è sempre una soluzione. Eva, atterrata alla Comasina dalla Svezia per amore alcuni decenni fa, gioca con la nipotina, bionda come lei. E si lamenta. “Se qualcuno ha un problema qui non lo lasciano andare finché non lo risolvono”. Francesco, il consulente, invece è calabrese ma lavora anche lui a Milano da 11 anni: “Faccio lo psicologo, il sacerdote, il confidente”. Più dei numeri, dice, nel lavoro bisogna metterci la trasparenza. “Con il tempo, la qualità delle relazioni porta anche i numeri”.