recapito

Alice chiese: «Per quanto tempo è per sempre?». Bianconiglio rispose: «A volte, solo un secondo». Quando l’hai visto passare, però, non ti rendi conto di tutto quello che il tempo ha tolto e aggiunto. Proprio perché niente è per sempre. Neanche il postino è per sempre. Eppure ci sono luoghi e cose che non sono cambiati anche se tutto è cambiato.

Il recapito digitale. E il rapporto con la gente

Luca D’Este deve avere 60 anni e ha cominciato a fare il postino 35 anni fa, quando bisognava prestare giuramento. Veneziano, consegnava lettere e pacchi a Sant’Erasmo e alle Vignole: «Nella prima ci sono 700 abitanti, nella seconda una trentina», raccontò al Corriere. «La nostra sede è sull’isola nuova del Tronchetto. Comincio alle 7 e finisco alle 14,27. Prendo tre vaporetti, prima tappa Sant’Erasmo, dove mi aspetta un motorino di ordinanza. È un po’ scassato e quando si rompe mi aiutano le persone del posto». Poi va alle Vignole e lì c’è una bicicletta: «Di quelle leggere, arrivo dappertutto». Gli offrono un caffè, un bicchiere di vino. Tutto come un tempo. Però lui ha il giaccone giallo che luccica, ha il palmare, spiega agli anziani come mettere la firma digitale e può pagarti le bollette solo sfiorando quell’aggeggio. Si chiama ancora portalettere. Anche se il mondo è cambiato.

Zero emissioni

Un tempo li riconoscevi per la loro divisa con le mostrine e il berretto sulla testa, giravano fra i vicoli a piedi o in bicicletta, e io li ricordo pure su un motorino con i pedali mentre si alzavano per darsi una spinta. A tracolla portavano una pesante cartella di cuoio piena di lettere, senza mai dimenticarsi una penna nel taschino per far firmare le raccomandate. Oggi hanno una ministampante, e un oggetto miracoloso che tengono appeso sulla loro nuova divisa fluorescente. La penna non serve più. Al loro posto hanno un palmare con cui effettuano pure pagamenti dei bollini postali. Anche la vecchia, cara bici c’è chi comincia a metterla in soffitta. A Bari, ricordano ancora la prima volta che videro le Free Duck, dieci anni fa, undici macchinine a motore elettrico con quel loro particolare colore giallo limone, per le strade di Poggiofranco e Carrassi. Autonomia di cinquanta chilometri, emissione di Co2 pari a zero. Il postino diventa telematico e ambientalista.

Il palmare e i servizi

Tutto cambia. Anche il postino. Non basta più consegnare la posta dopo aver imparato a memoria il percorso da fare; adesso il nuovo postino telematico deve essere capace di utilizzare al meglio la tecnologia per offrire i tanti servizi dell’azienda a domicilio, come ricaricare la Postepay o il cellulare, e pagare le bollette. Il vecchio signore che saliva dal quadrivio schiacciando i pedali della bicicletta, con la bolgetta in spalla e il fregio delle Poste sul cappello, ora è un distinto giovanotto con la sua divisa dai colori sgargianti o una ragazza moderna cresciuta nel mondo digitale. Sono cambiati i tempi, e anche gli strumenti. L’ultimo palmare funziona come uno smartphone evoluto, capace di integrare in un solo strumento le funzioni per la consegna e quelle per il pagamento, riducendo anche gli apparecchi in dotazione come il Pos, che non è più necessario. Contiene pure un dispositivo di Sos in situazioni di emergenza. E poi può addirittura aiutare i comuni dei piccoli paesi, mettendo a disposizione delle pubbliche amministrazioni locali il servizio di rilevazione dati, in modo da ricostruire una mappatura completa delle attività sul territorio e aggiornare e rivedere la toponomastica.

La passione per il lavoro

È un mondo che viaggia veloce. Ma che nonostante tutto ha ancora bisogno dell’uomo. Riccardo è un portalettere del Centro distribuzione di Lugo che durante i terribili giorni dell’alluvione in Romagna ha dato un contributo determinante ai soccorsi: «Grazie al mio lavoro conosco ogni strada e vicolo, anche vie alternative per raggiungere le abitazioni più isolate, e in questo modo ho fatto da guida per indirizzare i volontari». Se Anand, il postino di Tesimo, ha dovuto conoscere di persona tutti gli abitanti di quel borgo di montagna perché le stradine erano senza numeri civici, e Caudio è stato costretto a imparare a memoria i nomi e i volti di tutti gli abitanti di Ricetto di Candelo, villaggio di pietra e medioevo dove sono vietate le cassette, Pasquale ha dovuto ingegnarsi ancora di più per dare un nome alle strade e agli indirizzi di Ponza che non ne avevano manco uno: «Ho scritto un quaderno dove ho dato nomi di fantasia alle strade, prendendo come spunto magari una porta che aveva un colore particolare, oppure un albero caratteristico. Sono 40 pagine fitte di appunti che ho trasferito sul mio computer. Ma adesso non ho più problemi». Alla fine, a sentire questi racconti, ti accorgi che nell’invisibile filo fissato alla volta del cielo per segnare con isocrona maestà l’oscillazione del tempo e il suo implacabile avanzare, l’unica cosa che non è cambiata è il rapporto umano che il postino è riuscito a instaurare con la sua gente.

Eugenia e William James

Viene da lontano, dalla sua storia, che è un po’ quella di Brusa Maria detta Eugenia, nata a Domodossola, e portalettere dal 1933 in nove frazioni della Val Formazza, dove svolgeva anche le funzioni di gazzettiere locale. Dentro il suo lavoro c’è sempre stato tutto, in quel vagare di una vita da un tempo all’altro, nella dualità di quella dimensione che oscilla come un pendolo in modo regolare per l’eternità, perché c’è la fatica e la gioia di stare insieme agli altri, vivere il loro isolamento e le loro sconfitte, qualche volta le loro vittorie. Eugenia arrivava su una bicicletta e assieme alla posta consegnava le belle e brutte notizie dei paesi attorno, separati da faticose tratture nelle gibbose estensioni di quelle salite. Se era mancato qualcuno era lei che informava gli altri. Quando la notizia era buona entrava in paese con il suo grido di richiamo, «Postaaaa», prima di fermarsi a raccontare che il capocantiere Edison di Valdo metteva a disposizione un apparecchio televisivo nella sua baracca, una volta alla settimana, il giovedì, per vedere «Lascia o raddoppia?» con Mike Bongiorno. Era arrivata lì dagli anni 30 e se c’era una cosa rimasta uguale erano le bufere di neve, che isolavano quelle contrade dal resto del mondo. E lei era l‘unica che riusciva ad arrampicarsi fin lassù, anche quando c’era la tormenta, il gelo aggricciava le ossa e il vento si infilava nei camini con grida lamentose: la corriera non ce la faceva a salire ed Eugenia scendeva con una slitta fin dove era arrivato il pullman e prelevava il sacco della posta, che era color avena con strisce rosse e blu, con il cordone di chiusura che scorreva tra gli occhielli. Per risalire bisognava tirare la slitta, stando molto attenti che il prezioso carico non finisse nella neve. Lei ce l’ha sempre fatta. In tutti quegli anni aveva anche imparato a conoscere i sentieri degli spalloni, che con la bricolla piena di stecche cercavano scorciatoie e trucchi per passare il confine. Maria Brusa sapeva tutto di tutti e parlava con tutti. Poi andava da don Vasino in parrocchia e chiedeva se aveva fatto bene. E don Vasino gli ha sempre detto di sì. Allora lei inforcava la bici e ricominciava da capo. Era così legata alla figura del portalettere la bici, che alla fine degli Anni 40 il Dopolavoro delle Poste organizzò gare di ciclismo e nel 1949/50 battezzò il primo campionato nazionale di ciclismo postelegrafonico. Queste corse durarono fino agli Anni Sessanta. Eugenia era già andata in pensione a quel tempo, e continuò a parlare con il suo parroco. Le mancava tutto del suo lavoro. Le mancava la gente, la fatica che faceva per andarla a trovare e portare la posta e le notizie. Don Vasino le disse di sì anche quella volta. Ma poi citò un grande psicologo americano, William James: «Finché ci saranno i postini, la vita avrà sapore». Aggiunse solo: i postini come te.