Nella storia dei dipendenti di Poste Italiane si ritrova la storia del nostro Paese. In “Ricordi di Poste”, raccogliamo le testimonianze degli ex dipendenti che scrivono alla redazione e che, attraverso i loro racconti, contribuiscono a mantenere vivo il legame tra le generazioni.
Sfogliando Postenews mi sono tornate alla mente tante cose. Sono nata alle 7 del 7 luglio 1931 dopo tre giorni di doglie della mia povera mamma. Dico questo perché il giorno 30 giugno mia madre, dipendente postale, era intenta a fare la contabilità di fine mese, allora molto faticosa e stressante perché non c’erano macchine ma tutto si registrava e si faceva a mano; perciò posso dire di essere quasi nata in un Ufficio Postale. Quasi tutta la mia famiglia è stata dipendente postale, iniziando dal periodo della prima guerra mondiale con la zia di mia madre, Giuseppina Giampaoletti, gerente a Castelleone di Suasa (AN), che in seguito prese con sé in ufficio i giovani nipoti orfani di guerra Clementina Dottori (mia madre) e suo fratello Paolo Dottori. Mia madre, come orfana di guerra, ebbe l’assegnazione dell’ufficio postale di Camerata Picena e lì nacque nel 1936 mia sorella Ebe, che poi concorse e prestò pochi anni di servizio nell’ufficio postale di Almese (TO). Mamma prese con sé come coadiutore mio padre e restammo a Camerata sino al 1939, poi mio padre, che nel frattempo si era integrato benissimo nel servizio, concorse come invalido di guerra e ottenne il posto a Monteporzio (PU) come titolare, dopo la rinuncia di mia madre. Camerata Picena era allora un piccolo paese a un paio di chilometri da Chiaravalle e non c’erano molte comodità essenziali e per ogni cosa si doveva andare in città, come ad esempio la farmacia, ma c’erano il dottore e la scuola. Io, all’età di 9 anni, per poter proseguire gli studi sono dovuta andare al collegio delle Poste a Calambrone, tre anni nei quali sono stata molto bene; avevamo tutte le comodità, eravamo seguiti tutti (maschi – divisi da noi – e femmine) nello studio, nel cibo, nello sport, anche se allora era un periodo di guerra. Eravamo bambini dalla prima elementare sino alla terza media, molti erano orfani ma tutti figli di postelegrafonici. Poi venne il caos, bombardamenti navali e aerei al porto di Livorno e non essendoci rifugi antiaerei ci trasferirono tutti, i maschi a Pesaro e noi femmine, le più grandi a Roma “Villa Rocchi”, io e molte altre a Ferentino, in provincia di Frosinone. Io volevo diventare insegnante elementare perché non amavo affatto il telegrafo e non volevo fare una vita sacrificata come quella dei miei genitori, che lavoravano anche i giorni festivi. A casa i miei genitori quando avevano qualcosa che noi bambine non dovevamo sapere parlavano in “lingua Morse” (erano dei bravi telegrafisti), e questo mi rendeva odioso il telegrafo. A 18 anni mi diplomai maestra elementare come avevo sempre desiderato, ma poi l’amore mi portò ad emigrare in Australia; dopo aver sposato Mario Costantini, con i nostri piccoli australiani Roberto e Giuliana decidemmo di ritornare in Italia a seguito della morte di mio padre. Per un motivo o per l’altro mi ritrovai in Ufficio con mia madre e dopo il suo pensionamento divenni direttrice dell’Ufficio PT di Monteporzio fino al 3 dicembre 1982, anno della mia pensione. Mio marito Mario, dopo il ritorno dall’Australia, concorse come profugo da Fiume e ottenne di essere assunto nell’Ufficio Principale di Fano e ad agosto 1983 chiese e ottenne di andare in pensione; mio marito purtroppo è deceduto qualche anno fa. Dimenticavo di dire che sempre rovistando fra le cose del passato ho trovato un vecchio libretto postale con la somma di lire 80 emesso nell’Ufficio di Ferentino a mio nome il 12/3/1943, primo versamento lire 50, secondo versamento il 1/4/1943 per lire 30, ma non so chi e perché fece quei versamenti. Ringrazio Dio e Poste Italiane che hanno permesso a tutta la famiglia di avere un posto sicuro e tranquillo.
Ennia Lavatori, ved. Costantini