Neppure una lettera politica, pur bella e importante, può fare miracoli se il destinatario resta insensibile. Anzi lascia rimpianti e innesca ritardi nella storia. È la sorte capitata a una tra le più celebri lettere di Giuseppe Mazzini. Indirizzata a Carlo Alberto, è degna ancora oggi di essere conosciuta per l’amore all’Italia e un libero parlare di un politico onesto, di austeri costumi, preoccupato del Paese che serve con sacrificio anziché servirsene.
“Un Italiano”
Quella lettera che Mazzini nel 1831 firmò semplicemente “Un italiano” rimase senza risposta del re, ma non cessò di essere cercata e letta tanto che nel 1847 lo stesso Mazzini, autorizzandone la ristampa all’editore, ne richiamava lo spirito patriottico tuttora vivo che l’aveva spinto a scrivere a Carlo Alberto invitandolo a guidare il movimento per la libertà e l’indipendenza d’Italia. Nella lettera piuttosto breve all’editore si trova l’interpretazione mazziniana autentica della lunghissima e minuziosa lettera al re. “Voi – scrive Mazzini all’editore – mi chiedete s’io consenta alla ristampa di certa mia lettera indirizzata, sul finire del 1831, al re Carlo Alberto. Ogni cosa ch’io pubblico è, il dì dopo, proprietà dei lettori, non mia; e ogni uomo può farne, nei limiti dell’onesto, quel che a lui più piaccia. Bensì, mi dorrebbe ch’altri interpretasse l’assenso siccome consiglio. Provvedete cortese a questo, e mi basta. Io non credo che da principe, da re o da papa possa venire oggi, né mai, salute all’Italia. Perché un re dia Unità e Indipendenza alla Nazione si richiedono in lui genio, energia napoleonica, e somma virtù… Né le mie opinioni erano diverse quand’io scriveva quella lettera. Allora Carlo Alberto saliva il trono, fervido di gioventù, fresche ancora nell’animo suo le solenni promesse del 1821, tra gli ultimi romori d’una insurrezione che gl’insegnava i desideri italiani e i primi di speranze pressoché universali che gl’insegnavano i suoi doveri. Ed io mi faceva interprete di quelle speranze, non delle mie. Però non aggiunsi a quelle poche pagine il nome mio. Oggi, se pur decidete ripubblicarle, proveranno, non foss’altro, a quei che si dicono creatori e ordinatori d’un partito nuovo, che essi non sono se non meschinissimi copiatori delle illusioni di sedici anni addietro e che gli uomini del Partito Nazionale tentavano quel ch’essi ritentano, prima che delusioni amarissime e rivi di sangue fraterno insegnassero loro di dire ai concittadini: Voi non avete speranza che in voi medesimi e in Dio”.
Una lettera d’amore
La lettera al re è una lettera d’amore all’Italia da risvegliare alla grandezza della sua storia. “Sire! Se io vi credessi Re volgare, d’anima inetta o tirannica, non vi indirizzerei la parola dell’uomo libero. I Re di tal tempra non lasciano al cittadino che la scelta fra l’armi e il silenzio. Ma voi, Sire, non siete tale. La natura, creandovi al trono, vi ha creato anche ad alti concetti e a forti pensieri; e l’Italia sa che voi avete di regio più che la porpora. I Re volgari infamano il trono su cui si assidono e voi, Sire, per rapirlo all’infamia, per distruggere la nube di maledizioni di che lo aggravano i secoli, per circondarlo d’amore, non avete forse bisogno che di udire la verità: però io ardisco dirvela, perché voi solo estimo degno d’udirla e perché nessuno di quanti vi stanno intorno può dirvela intera. La verità non è linguaggio di cortigiano; non suona che sul labbro di chi né spera né teme dell’altrui potenza”.
L’appello al Re
Tanti i motivi illustrati che suggeriscono al re l’opportunità di una scelta coraggiosa. “Ponetevi alla testa della nazione e scrivete sulla vostra bandiera: Unione! Libertà! Indipendenza!” Dichiaratevi vindice, interprete dei diritti popolari, rigeneratore di tutta Italia. Liberate l’Italia dai barbari. Edificate l’avvenire. Date il vostro nome ad un secolo. Incominciate un’era da voi. Siate il Napoleone della libertà italiana. Suscitate l’entusiasmo. Cacciate il guanto all’Austriaco, e il nome d’Italia nel campo; quel vecchio nome farà prodigi. Fate un appello a quanto di generoso e di grande è nella contrada. Una gioventù ardente, animosa, sollecitata da due passioni onnipotenti, l’odio e la gloria, non vive da gran tempo che in un solo pensiero, non anela che il momento di tradurlo in azione: chiamatela all’armi. Ponete i cittadini a custodia delle città, delle campagne, delle fortezze. Liberato in tal modo l’esercito, dategli il moto. Riunite intorno a voi tutti coloro che il suffragio pubblico ha proclamato grandi d’intelletto, forti di coraggio, incontaminati d’avarizia e di basse ambizioni. Inspirate la confidenza nelle moltitudini, rimovendo ogni dubbiezza intorno alle vostre intenzioni e invocando l’aiuto di tutti gli uomini liberi”. “Sire! Io vi ho detto la verità. Gli uomini liberi aspettano la vostra risposta nei fatti. Qualunque essa sia, tenete per fermo che la posterità proclamerà in voi il primo tra gli uomini o l’ultimo dei tiranni italiani. Scegliete!”.