Nella storia dei dipendenti di Poste Italiane si ritrova la storia del nostro Paese. In “Ricordi di Poste”, raccogliamo le testimonianze degli ex dipendenti che scrivono alla redazione e che, attraverso i loro racconti, contribuiscono a mantenere vivo il legame tra le generazioni. Ecco la lettera ricevuta da Mira Soldatini Leonini
Dopo la guerra, la corrispondenza si consegnava anche per merito di uno dei tanti volenterosi e orgogliosi “portalettere”, che curava la zona assegnata sempre a piedi e con borsone zeppo a tracolla. Mio padre Palmiro Soldatini, nato a Livorno nel 1909, è entrato nelle Poste Italiane, Sede Centrale, nel 1930. Dopo un periodo di tirocinio allo smistamento, gli fu assegnata una zona di città, Scali d’Azeglio e Borgo dei Cappuccini, dall’inizio fino alla fine in piazza G. Matteotti. In Borgo, zona popolata e popolare, abitavano famiglie livornesi, quasi tutte legate al movimento commerciale del porto. Palmiro, portalettere cordiale e amichevole, percorreva totalmente tutta la sua zona, sempre a piedi, e dopo una breve pausa pranzo, completava il lavoro al pomeriggio. Durante la II guerra mondiale, nel 1943, per sfuggire ai quotidiani bombardamenti, il Comune di Livorno fece sfollare la città, assegnando una sistemazione alle famiglie in zone più tranquille, nelle campagne toscane. La mia famiglia venne indirizzata nel paesino di Montale Agliana, in provincia di Pistoia. Gli stenti patiti in quegli anni tra guerra e fame hanno dell’inimmaginabile, però riuscimmo ad arrivare alla fine tutti vivi, anche se in pelle e ossa.
Il Dopoguerra
Alla fine del 1945, potemmo così rientrare a Livorno, con una carretta di stracci personali, sulla quale ci riposava mia sorella di soli tre anni, troppo piccola per camminare. Il ritorno a tappe forzate, lungo un percorso durissimo senza strade, senza ponti, durò circa 10 giorni, una vera e propria odissea. Finalmente ecco Livorno, o meglio quello che restava dalla devastazione dei bombardamenti a tappeto, che distrussero circa il 90% della città e del porto. Con una sistemazione di fortuna, riuscimmo a trovare un appartamento in via Micali, occupato anche da altre famiglie. Ci inserimmo nella vita grama di tutti i giorni, per poter sbarcare il lunario. Mio padre si presentò alla Direzione delle Poste e dopo pochi giorni riprese il suo lavoro di portalettere. La nostra famiglia cominciò di nuovo a rivedere almeno il pane in tavola. Dopo circa due anni dal nostro ritorno, dietro domanda, anche mia madre Ardelia venne assunta all’Economato delle Poste. I due figli più grandi trovarono pure loro una occupazione soddisfacente. Mio padre era sempre il più impegnato, ma molto, molto felice.
Verso il boom economico
Il clima di buon andamento socioeconomico ci permise di lasciare la sistemazione sempre provvisoria di via Micali e poter acquistare un piccolo appartamento nuovo da riscattare, in via Temistocle Guerrazzi. Potete immaginare la soddisfazione corale di tutta la famiglia, per questo traguardo raggiunto. Purtroppo tanta serenità familiare, dopo pochi anni, venne funestata da una bruttissima notizia: a mio padre venne diagnosticato un tumore. Malgrado le cure praticate, l’assistenza continua e perfino un’amichevole, affettiva colletta in denaro delle famiglie del Borgo dei Cappuccini, mio padre morì nel 1957 a soli 48 anni, tra lo sgomento addolorato di tantissime persone. Alla fine del 1958, anch’io fui invitata a presentare la domanda di assunzione alle Poste, sezione economato, e così feci. Nel dicembre del 1959, venni assunta con enorme soddisfazione personale e familiare, così fui la terza persona della mia famiglia, a entrare con orgoglio, nel numeroso mondo dei postelegrafonici. Ora sono in pensione da diversi anni, e serbo con piacere e affetto ricordi tanto cari di colleghi ed amici, con i quali abbiamo diviso tanto tempo di lavoro all’economato, smistamento ed infine alla cassa provinciale.