Alle 22.39 del 9 ottobre 1963 un’enorme roccia, di circa due chilometri quadrati di superficie e 260 milioni di metri cubi di volume, si stacca dal Monte Toc, dietro la diga del Vajont, e precipita nel sottostante lago artificiale sollevando un’onda di 230 metri d’altezza e 50 milioni di metri cubi di materiale solido e liquido. La metà di questa enorme massa scavalca la diga, abbattendosi nella sottostante valle del Piave, provocando la distruzione di cinque paesi situati presso lo sbocco del torrente (Longarone, Pirago, Rivalta, Villanova, Faè) e mutando radicalmente la geografia della zona. I morti sono 1910. Intere famiglie di Veneto e Friuli spazzate via.
Il lutto dei postelegrafonici
Tra i morti della tragedia di cui ricorrono i 60 anni figurano Maria Pioggia, Lucia Olivier, Saverio Biamonte, Teresa De Lazzero, Antonietta Bez: lavoravano all’ufficio postale di Longarone. “L’immane tragedia di Longarone, che ha fasciato di lutto i cuori degli Italiani e spento la face della vita in tante famiglie, non ha risparmiato il personale postelegrafonico”, si legge sulla rassegna postelegrafonica dell’epoca, che aggiunge: “Non è stato ancora possibile accertare se e quanti familiari di queste vittime sono sopravvissuti allo spaventoso disastro; ma di esse, nel cordoglio comune, si considerano familiari tutti i postelegrafonici d’ltalia”.
I postini tra le macerie
Come in tutta la storia delle emergenze dell’Italia unita, a Longarone le Poste non si tirano indietro. Due mesi dopo, la Rassegna Postelegrafonica fa il punto sulla ricostruzione: “Il sopravvissuto portalettere non ha mai interrotto il suo penoso servizio; l’ufficio locale, ricostruito, assicura le normali relazioni e accompagna la rinascita della cittadina scomparsa”. Anche sul fronte friulano del Vajont, le lettere, purtroppo, sono molto spesso indirizzate a chi non c’è più. Scrive così La Stampa, una settimana dopo la tragedia: “Il postino di Erto-Casso, Cipriano Cappa, di trentasei anni, passa da un crocchio all’altro, sale e scende nelle camerate per cercare i destinatari delle lettere: molte sono di emigranti, alcune vengono dal Sudan, dall’Australia, dal Ghana. In una tasca, Cipriano Cappa tiene la posta indirizzata a quelli che non ci sono più”.
Le testimonianze dei superstiti
Candido Zanvettor e Maria Pia Bassetto sono due superstiti dell’ufficio postale di Longarone. Negli anni hanno partecipato alle commemorazioni e raccontato che si salvarono per puro caso dall’onda che travolse tutto. Maria Pia Bassetto iniziò a lavorare alle Poste il 16 giugno 1962; era al suo primo incarico. Partiva in treno il lunedì alle 6.40 da Vittorio Veneto e rientrava la sera del sabato alle 19. Nei primi giorni di ottobre del ’63, in gravidanza, ottenne di rientrare a casa la sera. Così accade anche il 9 ottobre: lasciò Longarone appena cinque ore prima della tragedia. “Ero incinta di 7 mesi. La mattina del 10 ottobre sono salita sul treno, si sapeva che qualcosa a Longarone era successo, ma non immaginavamo una cosa del genere – raccontò dieci anni fa al Corriere delle Alpi – Infatti l’ultima fermata era a Fortogna. Sono scesa, ho fatto alcuni passi e subito davanti a me ho visto mucche gonfie come palloni, con le zampe all’aria. E uno spazio enorme senza più una casa o un albero. Non esisteva più nulla”. Ancora più casuale il salvataggio di Candido Zanvettor. Così, sempre dal Corriere delle Alpi del 2013: “Avrei dovuto tornare a Longarone con il mio amico Aldo, in Lambretta, per andare a vedere al bar la partita di calcio Real Madrid-Glasgow”, ricordava Candido. “Invece mi telefonò dicendomi che era stanco perché aveva lavorato tutto il giorno. Così decisi di rimanere a casa pure io”. All’alba del 10 ottobre, alle 4, il padre di Candido, che allora aveva 25 anni, gli disse che il collega Arturo lo aspettava in piazza a Ospitale: si era saputo del disastro, di cui però ancora non si conosceva la portata, e i dipendenti postali erano stati incaricati di recarsi in ufficio per salvare i documenti più importanti. “Siamo partiti verso Longarone”, ma i Carabinieri ci fermarono a Termine, dicendoci, usando le loro stesse parole, ‘Longarone è scomparso’. Allora sono andato a piedi fino all’altezza di Roggia, da dove ho visto un paesaggio tutto bianco, lunare. Agghiacciante. Ho vagato tutto il giorno tra le macerie”. Candido incontra a Longarone Antonio il barbiere: “Credeva che fossi morto. Il fatto di non essere andato a vedere la partita mi ha salvato la vita”. (In collaborazione con l’Archivio Storico di Poste Italiane)