Come è potuta finire la scuola in Italia con bambini delle prime classi elementari già gravati da zainetti pieni, genitori supplenti di carenze didattiche, o che minacciano insegnanti, docenti declassati da educatori a impiegati? Vince lo scontento e la burocrazia: incerta giungla dei concorsi a cattedra e, in prossimità di pensione, fuga anticipata dall’insegnamento divenuto un mestiere anziché una vocazione. A sciogliere l’enigma di tanta decadenza può contribuire la conoscenza e l’analisi di lettere inviate negli anni ai loro maestri da scolari divenuti adulti e famosi.
La riconoscenza di Camus
Corrispondenza della gratitudine per l’insegnamento e l’educazione ricevuti per affrontare vita con giusto equilibrio e capacità di discernimento. “Caro signor Germain”: – è l’incipit della lettera di un celebre Nobel della letteratura al suo maestro elementare – ho aspettato che si spegnesse il baccano che mi ha circondato in tutti questi giorni, prima di venire a parlarle con tutto il cuore. Mi hanno fatto un onore davvero troppo grande che non ho né cercato né sollecitato. Ma quando mi è giunta la notizia, il mio primo pensiero, dopo che per mia madre, è stato per lei. Senza di lei, senza quella mano affettuosa che lei tese a quel bambino povero che io ero, senza il suo insegnamento e il suo esempio, non ci sarebbe stato nulla di tutto questo. Non sopravvaluto questo genere d’onore. Ma è almeno un’occasione per dirle che cosa lei è stato, e continua a essere, per me, e per assicurarle che i suoi sforzi, il suo lavoro e la generosità che lei ci metteva sono sempre vivi in uno dei suoi scolaretti che, nonostante l’età, non ha cessato di essere il suo riconoscente allievo. L’abbraccio con tutte le mie forze”. Questa limpidissima sintesi di una scuola umanistica che non si dimentica, anziché burocratica rimasta indifferente se non odiata, è la lettera firmata da Albert Camus il 19 novembre 1957 indirizzata a Louis Germain suo maestro elementare.
Maestri di vita
Erano ancora gli anni in cui tutta l’Europa – Italia compresa – lavorava con lena alla ricostruzione non solo degli edifici ma della coscienza civile, uscita lacerata dalla tragedia della guerra. In apparenza può sembrare solo uno scritto scorrevole degno di un letterato. Non poteva essere altrimenti per un Nobel della letteratura. Invece è molto di più: uno stile piano che rende esemplare il ritratto di un insegnamento efficace a fare di bambini degli uomini artefici della propria vita. In poche righe è concentrato un trattato di pedagogia nel quale la scuola e la sua riuscita ruotano intorno alla centralità dei ragazzi e al magnetismo dei docenti competenti perché anzitutto sono maestri di vita, esempi di generosità e servizio che si dedicano con amore all’insegnamento prima che per lo stipendio. I ragazzi sono considerati non numeri per risorse finanziarie, materia inerte da plasmare a piacimento, quanto piuttosto persone in crescita da orientare e accompagnare con pazienza. La riuscita della scuola si gioca tutta nelle dinamiche dei rapporti docenti-scolari. Se falliscono, non bastano le migliori strutture e le moderne strumentazioni didattiche per creare adulti responsabili. Sono i rapporti educativi che risolvono e colmano ogni altro divario.
Cittadini del domani
Erano, quegli anni del Nobel Camus, il tempo che vide fiorire insegnanti che sperimentavano una scuola nuova, un insegnamento liberante anziché repressivo, una cura invece che fastidio verso i ragazzi. Sono ormai – almeno a parole – patrimonio comune don Milani, Mario Lodi, Alberto Manzi. Figure più note di un numero cospicuo di simili insegnanti dediti all’educazione nelle scuole pubbliche, popolari o in Istituti educativi paritari. Ai giorni nostri serve che la politica non resti sorda alla decadenza scolastica. Ma non risponda annaspando o pensando di guarirla come si fa per ogni altro cantiere pubblico o privato. La scuola è un habitat delicato simile alla sanità. Non meno. Non vi si trattano cose, ma persone. Vi si crescono cittadini del domani. Sulla loro educazione non si gioca a dadi, né per le proprie fortune politiche, ma per garantire ai giovani le condizioni ottimali di una riuscita pedagogica.