L’hi-tech, l’alta tecnologia pervenuta, ormai, ai primi modelli di Intelligenza artificiale (IA) sta polarizzando interesse, studi e dibattiti nel mondo occidentale e nei Paesi a tecnologia avanzata. Forse a breve, entro pochi decenni, l’età della tecnica in gran parte sembrerà archeologia e tutto al mondo potrebbe complicarsi non soltanto per la pace, ma per la stessa comprensione dell’uomo sollecitato dalla scienza alle porte a ripensarsi nell’intimo per non smarrire il senso di sé e di misura di tutte le cose. Dovrà dare conto anche della sua volontà e capacità di curare le ferite del pianeta, senza distrarsi nell’occupare nuovi spazi in nuovi satelliti e pianeti ove continuare nella sua malavoglia di essere “distruttore di mondi”. Già ora è tempo per l’uomo – se vuole spingersi oltre la pura sopravvivenza nel Pianeta azzurro e in altri approdi dell’universo – di una riflessione profonda sul suo rapporto con la tecnica che pare contendergli la signoria.
Le “Lettere dal lago di Como”
Come restare sempre e dappertutto umani? La riflessione non dovrebbe ridursi a un lavarsi le mani alla Pilato su quanto si prepara dall’esito del confronto tra l’uomo e la tecnica. Torna attuale, dopo 100 anni, la proposta affidata a noi, primi contemporanei dell’AI, da Romano Guardini, eccellente filosofo e teologo del Novecento, nato italiano e vissuto in Germania (1885-1968): la sfida della tecnica si raccoglie educando l’uomo a una cultura capace di dare ragione di sé entro un contesto totalmente nuovo. In 9 Lettere raccolte nel volumetto “Lettere dal lago di Como”, scritte a un amico di fantasia e pubblicate tra il 1923 e 1925 sulla rivista “Schildgegnossen” con il sottotitolo “La tecnica e l’uomo”, Guardini suggerisce un pensiero nuovo per una feconda attitudine davanti al futuro, diventato, oggi, una realtà incalzante. Le Lettere – la nona in particolare – chiariscono il pensiero di Guardini che scrive quasi avesse come interlocutori noi e il nostro presente. Senza una cultura umanistica alle prese con una tecnica quasi miracolistica, si prepara una resa catastrofica dell’umano. L’evoluzione scientifica è approdata al robot e l’uomo non può contentarsi di una cultura di un’età superata. L’uomo non può diventare un capo robot o robot di complemento, ma restare signore della sua anima, “capitano del suo destino”, direbbe Nelson Mandela.
Come bilanciare il potere della tecnica?
Ecco, allora, le Lettere dal lago di Como venire in soccorso con la proposta di una cultura capace di dare all’uomo una coscienza adeguata per bilanciare il potere della tecnica, guidandola ancora. «La comparsa della tecnica – si legge nella sintesi incalzante della nona lettera di Guardini – è prima di tutto un fenomeno che ha intaccato l’intimo dell’uomo. Per questo ci troviamo nella condizione di senza patria, per questo ci siamo ridotti in uno stato di barbarie…Se oggi abbiamo l’impressione di trovarci di fronte a una distruzione, è perché un essere e un fatto di tipo nuovo sono penetrati, modificandola brutalmente, nell’antica immagine del mondo e dell’uomo. Questo elemento nuovo opera in maniera distruttiva perché l’uomo idoneo a vivere insieme a lui non esiste ancora. Questo “nuovo” esercita un’azione distruttiva perché non si è ancora riusciti a renderlo umano. Restando fermi sul campo anticamente occupato, la battaglia per la cultura vivente sarebbe perduta e da questo passato non ci potremmo attendere altro se non una profonda confusione. La lotta potrà essere ripresa soltanto su un altro piano. Il mondo della tecnica e le sue forze scatenate non potranno essere dominati che da un nuovo atteggiamento che ad esse si adatti e sia loro proporzionato. L’uomo è chiamato a fornire una nuova base di intelligenza e di libertà che siano, però, affini al fatto nuovo, secondo il loro carattere, il loro stile e tutto il loro orientamento interiore… Il nostro posto è nel divenire. Noi dobbiamo inserirvici, ciascuno al proprio posto. Non dobbiamo irrigidirci contro il “nuovo”, tentando di conservare un bel mondo condannato a sparire… A noi è imposto il compito di dare una forma a questa evoluzione e possiamo assolvere tale compito soltanto aderendovi onestamente; ma rimanendo tuttavia sensibili, con cuore incorruttibile, a tutto ciò che di distruttivo e di non umano è in esso…».
Creare un mondo, come l’uomo primitivo
«Nella parabola della storia – è la riflessione di Guardini – siamo ritornati esattamente al punto in cui si trovò l’uomo primitivo quando ebbe da affrontare il suo primo compito, quello di creare un “mondo”. Siamo di nuovo minacciati da tutte le parti da un caos che, questa volta, noi stessi abbiamo provocato. In primo luogo, dunque: bisogna dire “sì” al nostro tempo. Il problema non sarà risolto con un tornare indietro, né con un capovolgimento o con un differimento; e neppure con un semplice cambiamento o miglioramento. Si avrà la soluzione soltanto andandola a cercare molto in profondità». Siamo noi esseri umani, in definitiva, a dover crescere per porci al livello delle nuove forze chiamati a gestire.