Lettere nella storia: Moïse de Camondo e le nostalgie di umanità

Considerando quanta arte e varietà di stile è racchiusa nella produzione letteraria, filosofica, artistica, storica espressa nella scrittura epistolare, si resta meravigliati, quasi increduli. È come guardare una produzione immensa, incontrollabile, che attraversa e ricama il tempo dagli albori della scrittura. È un miracolo se, di fronte a tanta produzione di straordinaria varietà, “per poco il cor non si spaura” per dirla con il Leopardi dell’Infinito. Anche il suo epistolario conta ben 940 lettere scritte tra il 1810 e il 1837.

Storia di una famiglia

La magia dell’Infinito che assorbe l’animo del poeta e amplia il suo orizzonte visivo, in qualche modo si rinnova leggendo un singolare e sorprendente romanzo di Edmund De Waal dal titolo “Lettere a Camondo”. Costruito su 58 lettere dell’autore che ne sono la trama. Con la narrazione che si dipana nella successione delle epistole a un destinatario davvero esistito, si evoca un periodo di storia tragica e dolorosa di una famiglia ebrea e della sua eredità artistica, conservata in una grande casa di famiglia trasformata in museo parigino. Seduto alla scrivania, l’autore delle lettere, con minuziosa ricostruzione di vita quotidiana, rende attuali progetti e avvenimenti del tempo che fu. La storia dei Camondo – famiglia di origine italiana proveniente dall’est e stabilitasi a Parigi in rue di Monceau – rivive con un realismo di raffinate ceramiche e dipinti di cui l’autore del volume è artista affermato. La famiglia deve la sua fama e i traguardi raggiunti a Moïse de Camondo, destinatario delle epistole ove è immancabile presente diretto o indiretto. E deve la sua disgrazia alla feroce persecuzione antisemita operata dal nazismo con particolare ferocia in Francia. La famiglia viene colpita nei beni finanziari e negli affetti: finirà in parte vittima dei forni crematori di sterminio.

Forza letteraria

Moïse de Camondo morto nel 1935, destinò il palazzo di proprietà a diventare un archivio e museo della collezione d’arte raccolta nel tempo. Gli eredi, dopo l’uragano della guerra, confermano il proposito di Moïse. La storia speranzosa prima della guerra, drammatica durante la persecuzione, aperta a una serenità melanconica che si prova dopo la tempesta, viene narrata nelle lettere dell’autore che torna nella casa e ne rivive le vicende rivisitate con pacata forza letteraria. Epistole immaginarie di una storia riavvolta come da un giornale di bordo. Lettere misurate e precise, da sembrare quadri di vita quotidiana che si è sviluppata con grandi progetti tipici della borghesia illuminata del tempo, del tutto ignara della tragica fine che si preparava per gli ebrei.

Una fine tragica

È proprio questo ripercorrere la memoria dei sogni interrotti o perduti, rivissuti con dovizia di particolari quotidiani la cifra unitaria dell’epistolario, reso in questo modo un succedersi di capitoli della narrazione. Ogni lettera un capitolo. “Caro amico – è l’incipit della prima lettera -sono tornato a trascorrere il mio tempo negli archivi […] torno agli archivi. È una forza magnetica ad attrarmi verso queste stanze nelle soffitte, gli appartamenti dei domestici, a ritroso di cento anni”. “Caro amico – inizia la seconda missiva – sto stilando un archivio del vostro archivio. Trovo inventari, copie carbone, cataloghi d’asta, ritenute e fatture, relazioni, lasciti e testamenti, telegrammi, annunci di giornale, biglietti di condoglianze, menu e assegnazioni di posti a tavola, spartiti, programmi d’opera, schizzi, rendiconti bancari, dati di caccia, foto di opere d’arte, foto di famiglia, foto di lapidi, registri contabili, elenchi di acquisizioni […] vorrei chiedervi se avete mai buttato via qualcosa […] Trovo lettere riguardanti visite a questo o quel ristorante […] trovo risposte di galleristi […] troco documenti per il traposto di merci, documenti per il trasporto di persone trattate come merci. Trovo i documenti di deportazione di vostra figlia. Di vostro genero. Dei loro figli. E ho un groppo alla gola”. Aleggia una fine tragica, un’esperienza che poi sarà chiamata shoah. Diventerà simile alla siepe che impedisce al Leopardi di vedere l’orizzonte che potrebbe, perfino, essere stato un mondo senza quello scomposto olocausto. Incancellabile. “Sedendo e mirando, interminati/spazi di là da quella, e sovrumani silenzi/ e profondissima quiete/io nel pensier mi fingo”.

Quadri di famiglia

Nelle Lettere a Camondo rivivono persone che non ci sono più. Nella penultima lettera che racconta vicende di quadri della famiglia collezionati dai nazisti e poi ritrovati, c’è il Ritratto della Petit Irène di Renoir del 1880. “Gli esseri umani scivolano nelle opere d’arte e si perdono”. La lettera LVIII, l’ultima, porta la firma, mancante alle altre, e la data (Edmund de Waal, Londra dicembre 2020). “Seduto in questa splendida stanza affacciata sul Parc Monceau, con l’aureo tappeto dei venti sotto i piedi, penso ce que nous sommes [ciò che noi siamo], penso che è possibile fare di un luogo una casa, e che c’è onore nel farlo, e, penso, questo è essere testimoni. È a questo che sto tornando. Sento l’autunno. Penso, amico”.