La risurrezione di Gesù, cuore della Pasqua e – con l’amore – della fede cristiana, è stata tramandata fino a noi da lettere che hanno più di duemila anni. Le hanno scritte testimoni che vissero parte della loro vita in compagnia di Gesù, passati alla storia come apostoli. Sono loro, insieme alle donne al seguito del Nazareno, che restano autorevoli testi di Gesù risorto. Credibili sull’incredibile, perché lo hanno visto, hanno condiviso con lui un tratto di vita e hanno preferito essere uccisi piuttosto che rinnegare la fede in Gesù risorto. Ne parla Paolo nelle lettere più antiche intorno al 50 dell’era cristiana. Ne parla Pietro, capo degli apostoli, che tra l’altro conferma la veridicità di quanto scritto nelle lettere di Paolo. “La magnanimità del Signore nostro – scrive quasi a conclusione della sua seconda lettera l’apostolo Pietro – consideratela come salvezza: così vi ha scritto anche il nostro carissimo fratello Paolo, secondo la sapienza che gli è stata data, come in tutte le lettere, nelle quali egli parla di queste cose”.
La Prima Lettera ai Corinzi
E’ dunque una testimonianza dell’affidabilità delle lettere scritte da Paolo che, in vari passaggi, parla della risurrezione di Gesù posta a fondamento della fede cristiana. Senza la risurrezione questa fede sarebbe vana. Le parole più forti di Paolo riguardo alla risurrezione di Gesù si trovano – come è noto – nella Prima Lettera ai Corinzi, ma l’apostolo ne parla anche in altri passi delle lettere a lui attribuite e ritenute autentiche dagli studiosi. Nella famosa e importantissima lettera di Paolo ai Romani si legge fin dalle prime righe che Gesù Cristo è “costituito Figlio di Dio con potenza secondo lo Spirito di Santità, in virtù della risurrezione dei morti”. In passo successivo della lettera si legge a proposito di Abramo che credette “saldo nella speranza contro ogni speranza: “E non soltanto per lui è stato scritto che gli fu accreditato, ma anche per noi, ai quali deve essere accreditato, a noi che crediamo in colui che ha risuscitato dai morti Gesù nostro Signore, il quale è stato consegnato alla morte, a causa delle nostre colpe ed è stato risuscitato per la nostra giustificazione”. Nel decimo capitolo della lunga lettera ai Romani, l’apostolo Paolo scrive: “Se con la tua bocca proclamerai “Gesù è il Signore!” e con il tuo cuore crederai che Dio lo ha risuscitato dai morti, sarai salvo”. Pietro che accredita l’insegnamento di Paolo lo fa fondandosi sulla propria esperienza, in quello visto e udito da Gesù mentre era in vita. Nella seconda sua lettera, Pietro ricorda quella ineffabile momento della Trasfigurazione di Gesù alla quale assistette con gli altri due apostoli, Giacomo e Giovanni che Gesù portava con sé in speciali circostanze. “Vi abbiamo fatto conoscere la potenza e la venuta del Signore nostro Gesù Cristo, non perché siamo andati dietro a favole artificiosamente inventate, ma perché siamo stati testimoni oculari della sua grandezza. Egli infatti ricevette onore e gloria da Dio Padre quando giunse a lui questa voce dalla maestosa gloria: “Questi è il Figlio mio, l’amato, nel quale ho posto il mio compiacimento”. Questa voce noi l’abbiamo udita discendere dal cielo mentre eravamo con lui sul santo monte”. Un’esperienza unica che l’accompagnerà tutta la vita fino al suo martirio. Egli si sente in dovere di richiamare il senso della vita e della proposta di Cristo: “Sia benedetto Dio e Padre del Signore nostro Gesù Cristo – suona l’apertura della prima lettera di Pietro – che nella sua grande misericordia ci ha rigenerati, mediante la risurrezione di Gesù Cristo dai morti, per una speranza viva. Per una eredità che non si corrompe, non si macchia e non marcisce”. E’ certamente impressionante la testimonianza degli apostoli tutti morti ammazzati per aver creduto in Gesù risorto e quindi credibile. “Egli – aveva scritto Paolo ai cristiani di Colossi – è anche il capo del corpo, della Chiesa. Egli è il principio, primogenito di quelli che risorgono dai morti, perché sia lui ad avere il primato su tutte le cose”. Pasqua richiama questo snodo misterioso della risurrezione, credere alla quale, è una sfida tuttora presente, decisiva per dare un senso alla vita qualora si scegliesse di mettersi alla sequela di Gesù. Non si tratta di chiacchiere, ma di scelte.