Il supplemento “Il Venerdì” di Repubblica dedica la copertina e un ampio servizio al calo della posta tradizionale, con un particolare ricordo del giornalista e scrittore Gabriele Romagnoli, che da giovane è stato portalettere.
La borsa, il vaso di Pandora
Il primo giorno da postino, racconta Romagnoli “fu un 3 novembre. E Bologna venne sommersa da una nevicata”. “La mia sezione designata era alla stazione centrale, dove mi presentai puntuale alle 7. Fui condotto a uno stanzone pieno di schedari in metallo dove decine di uomini infilavano buste”. Romagnoli descrive le sue mansioni, la preparazione della corrispondenza nella borsa, che definisce “il vaso di Pandora: buste colorate dagli indirizzi scritti con calligrafie eleganti, tremanti o a stampatello (lettere anonime?); cartoline (ve le ricordate, le cartoline?) da luoghi lontani di cui era quasi impossibile non sbirciare il testo; gli auguri a Natale, montagne di auguri su biglietti colorati o stampati con la fotografia dei nipoti; bollette; saldi bancari; multe; pagamenti”. Quindi una riflessione sui suoi due mestieri: “Tempo dopo mi sarei ritrovato a pensare che il giornalista sia un po' come il postino: porta informazioni, notizie, talvolta buone e accolte con il sorriso, talaltra cattive, che ingenerano tristezza. Dalla borsa ho estratto qualche cartolina di leva, qualche busta listata di nero, lettere in cui perfino l'indirizzo era vergato con rabbia e una cartolina postale (esisteranno ancora?) su cui era scritta a stampatello una sola parola: SPEGNITI. La depositai con particolare cura nella cassetta”.
Galeotto fu il coniglio
Lo scrittore racconta poi la fine della sua “breve carriera felice di postino”, quando perse una raccomandata: “Andò così. Mi era capitata una zona ampia, di case sparse, alla periferia estrema della città, una quasi campagna che cominciava oltre un passaggio a livello, alle spalle di un indirizzo reso famoso da Francesco Guccini: via Paolo Fabbri 43. In una mattina di primavera fui sorpreso da un temporale, non una semplice pioggia, un acquazzone. Parcheggiai il motorino e cercai riparo per evitare che le lettere si infradiciassero. Trovai un casolare con un annesso, una sorta di fienile ai margini della città. Entrai, radunai un po' di paglia, mi sedetti e, appoggiando la borsa al mio fianco, aspettai che spiovesse. Passarono i minuti. Sentii un suono strano, ma non ci feci caso. Poiché proseguiva, mi voltai per trovarne l'origine: un coniglio. Un coniglio stava rosicchiando una busta che sbucava dalla mia borsa: una raccomandata. Ne aveva già sbriciolato un terzo, rendendola impresentabile, ovvero non consegnabile. Lo fissai incredulo, tardando ad allontanarlo mentre, impassibile, continuava la sua opera di distruzione. Quando il cielo tornò sereno io non lo ero più”.