Roma, 11 apr – «Di cosa hai bisogno, Ivan? Devi fare una raccomandata? Spedire un pacco? Dimmi». Angelo Di Livio parte lieve, è la sua cifra, prima di scattare inseguendo la profondità, i valori, e prima di lasciarsi andare al ritmo strappato delle emozioni: «Questa cosa mi è subito piaciuta e mi riempie di orgoglio. È bastato un incontro, tre mesi fa, Del Fante e Lasco non hanno impiegato molto per convincermi: è un ruolo tranquillo, ma il significato del progetto è potente». Potente? «Poste italiane vuole investire nel calcio per sostenere il sociale. Per adesso solo partite a scopo benefico, più avanti si vedrà». Allenatore dei postini è una divertente semplificazione? «Ma è così. E poi non ho mai voluto fare l’allenatore ». Balle. «Ho tutti i patentini, all’inizio ero anche motivato, mi è subito passata – e le proposte non erano mancate. Non so dire perché, forse questo calcio non fa per me. Intendo il calcio professionistico italiano. Con Poste mi sembra di essere entrato in un progetto molto più ambizioso di come appare ». Le prime mosse quali sono state? «Io e il mio secondo, Stefano Portieri, abbiamo lavorato alla scrematura di oltre 700 soggetti. Alla fine l’abbiamo risolta con trenta giocatori». Angelo ha 52 anni e si porta dentro 40 partite in azzurro, 169 con la Fiorentina, 186 con la Juve, 138 col Padova, una settantina col Perugia oltre alle prime uscite con Reggiana e Nocerina. Nel 2002 lo odiai – affettuosamente: detestarlo è impossibile -; lo odiai, dicevo, poiché all’ultimo momento prese il posto come ventitreesimo di Roberto Baggio sull’aereo che avrebbe portato il gruppo di Trapattoni in Giappone e Corea per i Mondiali. «Ivan, io ti considero un grande intenditore di calcio». Mia madre ringrazia. «Sai bene che a quei Mondiali sarebbe dovuto uscire un attaccante, non io». Perché Trap non lo chiamò? «Per le condizioni fisiche di Roberto, immagino». Sorride alla bugia. Parlavi di valori. «La squadra è uno strumento di aggregazione. Inoltre, i valori dello sport si avvicinano a quelli del Gruppo: il senso di appartenenza, la solidarietà, la condivisione dei momenti, tanto di quelli belli quanto di quelli meno piacevoli. L’impulso decisivo credo l’abbia dato la vittoria nel torneo Azzurri Cup, riservato ai partner della Nazionale maggiore, l’autunno scorso a Coverciano». «Posta!» era l’urlo di Capello quando vedeva partire Javier Zanetti dalla sua area col pallone incollato al piede destro. «Purtroppo Zanetti è fuori quota e non è convocabile. Anch’io sono andato oltre il limite d’età ma corro più veloce dei mei, sono allenatissimo. Fai una bella cosa, queste persone lo meritano ». Il calcio offre sempre un’occasione. «In fondo questo è un nuovo impensabile inizio».

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