Roma, 16 lug- La rivoluzione dei rifiuti in Svezia non è così ecologica come sembra: è vero – scrive Europa Today – che nel Paese scandinavo solo l’1 per cento della spazzatura finisce in discarica, ma al contempo gli inceneritori stanno avendo un ruolo sempre più centrale, favoriti anche dall’importazione di tonnellate di indifferenziata da altri Paesi dell’Unione Europea. Italia compresa.
Questo potrebbe portare a un aumento dell’inquinamento, anziché a una sua riduzione. E’ quanto sostengono gli ambientalisti, che puntano il dito contro il lato oscuro delle gestione dei rifiuti in Svezia, finora considerato un modello virtuoso in tutto il mondo.
La polemica sui termovalorizzatori svedesi non è nuova, ma è tornata in auge dopo che il Comune di Roma ha annunciato di voler spedire in terra scandinava i rifiuti non smaltiti che produrrà nei prossimi due o tre anni.
Stoccolma già importa 1,3 milioni di tonnellate di spazzatura all’anno, almeno secondo le previsioni per il 2019. Il grosso arriva da Regno Unito e Norvegia, ma anche grazie ai potenziali accordi con il governo italiano, la Svezia conta di portare a 2,5 milioni le tonnellate importate nel 2020. Il Paese scandinavo non è l’unico Paese UE a offrire soluzioni di questo tipo a chi non riesce a far fronte alla spazzatura che produce.
Ma è quello che oggi garantisce i costi più bassi: circa 40 euro a tonnellata. Un prezzo che nel 2019 dovrebbe consentire un incasso totale intorno ai 50 milioni di euro, per arrivare a 100 il prossimo anno. Non certo cifre da capogiro per uno Stato che ha un PIL da 530 miliardi di dollari. Ma il guadagno non si ferma certo qui: grazie ai suoi oltre 30 impianti di termovalorizzazione, infatti, il Paese alimenta il riscaldamento in 1 milione di case e l’elettricità in 250 mila appartamenti.
Un risparmio di emissioni di CO2 che il governo stima in 2,2 milioni tonnellate per anno.
Il minore inquinamento, però, è legato anche al fatto che ben il 47 per cento dei rifiuti viene riciclato o riutilizzato nell’efficiente macchina dell’economia circolare svedese. Ed è proprio questa macchina che potrebbe incepparsi, secondo gli ambientalisti. Limitando anche i miglioramenti nella gestione dei rifiuti dei Paesi che li esportano, come il nostro.
Il primo appunto che viene mosso riguarda il circolo vizioso cui potrebbe condurre il business degli inceneritori. “E’ chiaro che è meglio bruciare la spazzatura piuttosto che metterla in discarica – ha spiegato Karin Lexen, segretaria generale della Swedish Society for Nature Conservation in una intervista a The Local. Ma pensiamo anche che sia davvero importante orientarsi verso un’economia circolare”. “Se bruciare rifiuti diventa troppo economico e facile, si perde l’incentivo a riciclare”, ha aggiunto. Lo si perde in Svezia, ma anche nei Paesi che esportano. “Il Regno Unito e l’Irlanda, per esempio, sono Paesi molto ricchi che potrebbero lavorare di più sul riciclaggio e per un’economia circolare – ha continuato Lexen – ma preferiscono esportare rifiuti in Svezia”. Un discorso che vale anche per l’Italia.
Il secondo appunto riguarda i costi ambientali del business degli inceneritori. Innanzitutto, anche se il processo di separazione dei rifiuti permette di recuperare e riciclare quasi la metà delle tonnellate che arrivano negli impianti, non tutto quello che viene bruciato è a basso impatto: “Molte materie plastiche sono prodotte con combustibili fossili e il 12,5% dei rifiuti inceneriti è di plastica” ha sottolineato sempre Lexen.
L’impatto maggiore deriva dal trasporto. Secondo uno studio danese, le emissioni di carburante di una nave container standard, come quelle che trasportano i rifiuti verso la Svezia, variano da 829 kg a 1.606 kg di CO2 e da 4,9 a 9,6 kg di NOx per ogni miglio nautico percorso. Tra Civitavecchia e il porto svedese più vicino, tanto per fare un esempio, ci sono circa 3 mila miglia.
Di contro, i difensori del metodo svedese portano a loro sostegno il fatto che “se incenerisci una tonnellata di rifiuti in Svezia, ottieni 500 kg di CO2 in meno di emissioni equivalenti a quelle che potrebbero essere prodotte scaricandole in una discarica in Italia”: questa la tesi – conclude Europa Today – di Johan Sundberg, consulente in materia di energia e rifiuti.