Roma, 12 sett – I libri cambiano la vita e possono cambiare il Paese. Le regioni dove si legge di più registrano tassi di crescita della produttività più alti anche a parità di altri fattori, sia riferiti a variabili strettamente economiche, sia connessi al capitale umano quali appunto i livelli di istruzione formale. La conferma arriva dalla nuova ricerca commissionata dall’Associazione Italiana Editori (AIE) in occasione dei suoi 150 anni e realizzata da un pool di ricercatori dell’Università di Bologna e del Piemonte orientale che fa seguito a una precedente analisi del 2006, sempre per AIE, che evidenziava lo stretto nesso tra lettura e sviluppo economico e sociale.

Investire in promozione della lettura – sottolinea l’AIE – specialmente nelle zone con tassi di lettura più bassi, è evidentemente un necessario investimento per la crescita del Paese. La riduzione generalizzata e persistente degli indici di lettura a partire dal 2011 apre  un quadro diverso e sconfortante per l’Italia, che da allora sembra aver perso di vista con la stessa chiarezza la correlazione tra accumulazione della conoscenza e lettura e, in ultima analisi, il contributo che il lavoratore, attraverso questa conoscenza, offre al processo produttivo.

Lo studio evidenzia un secondo risultato, forse altrettanto significativo: la crisi produce un effetto negativo sugli indici di lettura, più accentuato e duraturo nelle regioni del Sud, già in partenza svantaggiate. Un esito meno scontato di quanto possa apparire. È infatti naturale che una congiuntura economica negativa abbia effetti negativi sugli acquisti di libri e nell’ultima crisi sono stati più severi che in passato. Qui parliamo però di indici di lettura, misurati come percentuale della popolazione che legge almeno un libro l’anno. L’idea che questa crisi economica abbia indotto una parte degli italiani ad abbandonare la lettura, fenomeno inedito nella nostra storia, è un risultato per nulla scontato. E di grande preoccupazione per la competitività dell’intero Paese.

Piani organici e prolungati nel tempo per lo sviluppo della lettura, dell’istruzione, delle infrastrutture dedicate (biblioteche pubbliche e scolastiche, librerie) sono invece le leve di sviluppo da manovrare per tornare a crescere. Sarà la lettura la sfida centrale, per l’industria editoriale e per il Paese nel suo complesso, nei prossimi decenni. Sia essa fatta di libri, di e-book o di audiolibri, o nelle nuove modalità in cui l’editoria si sviluppa. In Italia infatti oggi si legge poco (il 60% dei 15-74enni legge un libro all’anno): tra i cinque maggiori mercati editoriali europei, l’Italia si presenta come il paese con il più basso indice tra la popolazione adulta. Solo il 24,8% ha elevate competenze nella  comprensione dei testi, un dato che colloca l’Italia all’ultimo posto tra i maggiori paesi europei. Questo si riflette inevitabilmente nei bassi indici di lettura e permette di comprendere anche le difficoltà che una parte della popolazione ha nell’interpretare i processi di trasformazione sociale, nell’accedere al mercato del lavoro, nel capire le dinamiche in atto, i quadri geopolitici, nel tenere collegate tra loro informazioni che provengono da fonti e canali diversi.

Il digitale, infine, non ha ampliato la base di lettura: i mercati europei degli e-book (Regno Unito escluso) valgono tra il 4% e il 6% di quello trade (in Italia siamo vicini al 5%). E ancora oggi il 5% dei lettori italiani legge libri ‘solo in digitale’. Tutto questo, sottolinea l’AIE, è il prodotto del ridotto investimento in politiche per la lettura, politiche per l’apprendimento permanente, contrasto alla dispersione scolastica, supporto a consumi culturali a valore aggiunto, formazione del capitale umano.