Roma, 28 ott – Contrariamente a quanto ci si aspetta, i Buoni fruttiferi postali valgono qualcosa come oltre 70 miliardi di euro tra capitale e interessi, con i secondi a fare la parte del leone: valgono quasi 5 volte il capitale. E’ il Ministero dell’Economia, con il ricalcolo del debito pubblico italiano per adeguarlo ai criteri imposti dall’Eurostat, che ci offre una panoramica più completa dei numeri in gioco. Lo stock risulta aumentato di 58,3 miliardi di euro, quasi del tutto per via degli interessi maturati e ancora non corrisposti sui Buoni fruttiferi postali, che adesso vanno inclusi nel conteggio.

I Buoni fruttiferi postali ammontavano alla fine del 2018 a 58,2 miliardi e gravavano su un capitale di 12,8 miliardi. Può sembrare molto strano che il monte-interessi risulti circa 4,5 volte superiore al capitale da rimborsare, ma è la stessa nota del Mef a chiarire il perché.
Anzitutto, si tratta di titoli emessi perlopiù molti anni fa, quando i tassi d’interesse erano significativamente più alti di oggi, e che prevedono generalmente scadenze medie abbastanza lunghe, fino ai 30 anni. E poiché non consentono ai risparmiatori di godere degli interessi prima della scadenza, questi si accumulano di anno in anno e vengono amplificati dal meccanismo della capitalizzazione composta (interessi su interessi).

I Buoni fruttiferi postali si distinguono dai titoli di stato, dunque. I Btp corrispondono cedole periodiche, le quali non si accumulano nel corso dell’investimento e fino alla scadenza. E anche per questo il tasso d’interesse offerto è calcolato sul solo capitale nominale, non essendovi alcuna capitalizzazione composta, bensì semplice. Immaginiamo se negli anni Ottanta e Novanta avessimo emesso tutti i titoli di stato a 20 e 30 anni e con il meccanismo di computo e corresponsione degli interessi simile a quello utilizzato per i Bfp. Oggi, lo stock del nostro debito pubblico risulterebbe enormemente più alto, ammesso che avessimo trovato investitori disponibili a finanziare il nostro stato per un periodo così lungo e senza percepire alcun reddito fino alla scadenza. Ai tempi, così come per i Bfp, i BTp arrivarono a staccare cedole annuali del 9%, come quello che arriva a scadenza nel dicembre 2023 e che debuttò sul mercato come un trentennale.

Tra interessi e capitale, i Bfp valevano al 31 dicembre scorso 71 miliardi di euro, il 4% del pil. Il Mef rassicura sulla loro copertura, tant’è che sempre alla fine dello scorso anno sui conti ad essi dedicati risultavano accantonati 45,4 miliardi, il 64% del totale da rimborsare. Le serie attualmente in circolazione scadranno entro il 2031. Il grosso dei rimborsi avverrà nel prossimo quinquennio (2020-2024), cosa che farà scendere progressivamente con maggiore velocità il debito pubblico così com’è stato ricalcolato, pur partendo da livelli superiori.

Ogni residente sul territorio italiano possederebbe mediamente 1.175 euro di Bfp, di cui quasi 212 euro di capitale e 963 di interessi. Sono solo una minima parte di quei risparmi accumulati dalle famiglie nei decenni. Nel caso specifico, era l’Italia dei genitori e dei nonni che si recava alle poste per regalare buoni a figli e nipoti e tutelarne il loro futuro. I Buoni Fruttiferi Postali sono emessi dalla Cassa depositi e prestiti, controllata dal Tesoro, e sono distribuiti da Poste Italiane. Gli interessi dei Bfp, così come quelli dei titoli di stato, vengono tassati al 12,50%, anziché al 26%.