La rivoluzione digitale danneggia chi la subisce e premia chi la governa. Ci sono voluti molti anni per capirlo, anni in cui il catastrofismo sembrava aver avuto il sopravvento, solo in apparenza compensato da entusiasmi altrettanto superficiali. Oggi che si sono prese le misure e che la pandemia ha accelerato il tutto, la rivoluzione digitale non fa più. L’impatto della trasformazione digitale è rilevante in molti settori, dirompente in quello postale. Ovunque la corrispondenza tradizionale ha ceduto il passo allo scambio di messaggi scritti con le nuove tecnologie. Cittadini, imprese e Amministrazioni pubbliche utilizzano sempre più strumenti di comunicazione digitale (dalle mail ai social network, sino alle PEC e alle fatture digitali) per scambiarsi informazioni che fino a pochi anni fa erano inviate necessariamente attraverso lettere cartacee: è il fenomeno noto come e-substitution.

L’impatto sul mercato postale
La portata di questa rivoluzione è stata ben descritta dalla Fondazione Ugo Bordoni nel suo studio intitolato “E-substitution nel Mercato postale della corrispondenza”. Nel dossier, presentato mesi fa, la Fondazione analizza gli effetti della digitalizzazione sul servizio postale, suggerendo la definizione di un nuovo e più ampio perimetro di mercato, che assieme ai servizi postali più tradizionali comprenda i servizi di comunicazione digitale e i nuovi servizi di logistica funzionali all’e-commerce. Individuare l’entità del divario digitale e promuovere azioni tese a una maggiore inclusione sociale dei soggetti deboli diventa un’azione imprescindibile per garantire i diritti di cittadinanza digitale all’intera società italiana. I buoni esempi non mancano. In alcuni Paesi europei le politiche di inclusione digitale hanno portato alla definizione di nuovi obblighi, in aggiunta a quelli di servizio universale, come ad esempio in Francia dove gli uffici postali rappresentano una vera e propria rete di prossimità per accompagnare cittadini, imprese e PA nel processo di digitalizzazione; o nella Repubblica Ceca dove è stato previsto un obbligo di fornitura di sistemi di comunicazione digitale.

L’impegno di Poste
Anche da noi Poste Italiane – impresa di sistema – potrebbe farsi carico di questo compito, facendo leva sui propri elementi distintivi, che ne hanno caratterizzato lo sviluppo e gli investimenti degli ultimi anni, come si è visto in occasione del Reddito di Inclusione, del Reddito di Cittadinanza e di recente con il pagamento delle pensioni durante il lockdown e l’accordo con l’Arma per la consegna a domicilio delle stesse agli over 75. I punti di forza sono numerosi. C’è l’elevatissima capillarità della rete sul territorio, con circa 13.000 Uffici Postali presenti anche nelle zone rurali e disagiate (cosa che colloca l’Italia ai massimi livelli in Europa, come evidenziato anche dall’Agcom nell’ultima Relazione Annuale). C’è il fatto che quasi 10.000 di questi uffici sono dotati di copertura WiFi a fine 2019. C’è la disponibilità di oltre 30.000 postini che ogni giorno passano per le case degli italiani, più del 90% dei quali dotati di dispositivi digitali. C’è una consolidata esperienza nella fornitura di servizi di rilascio certificati o documenti in sostituzione della PA (su circa 6.000 sportelli). C’è un ruolo guida nel Sistema Pubblico di Identità Digitale con più di 4 milioni di identità SPID distribuite (oltre l’80% del totale nazionale). C’è una forte leadership digitale, con oltre 21 milioni di App scaricate e 1,5 milioni di visitatori/giorno su web/App. E c’è infine una consolidata esperienza nel mondo dei sistemi di pagamento alternativi (7.000 sportelli ATM e oltre 19 milioni di carte prepagate). Tuttavia, l’universalità ha un costo. Nel corso del 2017, l’onere del servizio universale ha pesato sui conti di Poste Italiane per 586 milioni di euro (quantificato da Poste Italiane), a fronte dei 262,4 milioni versati dallo Stato. Le perdite derivanti dagli obblighi di Servizio Universale sono state ripianate con i profitti maturati sugli altri mercati in cui l’azienda opera, dunque a danno dei propri azionisti, ivi incluso lo Stato. Questo squilibrio potrebbe rischiare di compromettere la sostenibilità del Servizio Universale nel medio-lungo periodo, rischio che non corrono gli operatori alternativi, privi di qualsiasi obbligo e con organizzazioni del lavoro molto meno costose e più flessibili. Poste Italiane propone un’evoluzione del contesto normativo e regolamentare in grado di rispondere efficacemente alle sfide poste dall’evoluzione tecnologica. Una strategia – battezzata “Postal Act” – che ha come obiettivo un sistema di recapito dinamico, innovativo, realmente competitivo e sorretto da una visione di lungo periodo che immagini – anche in sede europea – il modello di servizio postale che si intende costruire nei prossimi 20 anni.