Un brano delicato e ironico, scritto con l’inconfondibile vis comica romana di Aldo Fabrizi. Il brano di seguito fa parte del volume “Ciavéte fatto caso?” del 2002, nel quale vengono raccolti gli sketch più famosi dell’attore capitolino. Qui Fabrizi descrive il lavoro del postino: un ritratto per certi versi attuale, per altri testimonianza storica che si legge volentieri e strappa più di un sorriso. Oltre a molti spunti di riflessione.

Li mestieri
di Aldo Fabrizi

All’infuori dei salti mortali, ho fatto di tutto. Portavo le valigie alla stazione, ma ero abusivo, i facchini mi cacciavano; così, quando portavo le valigie di qualche signore, facevo finta che era mio padre, e se vedevo un facchino chiamavo quel signore sconosciuto papà, papà, papà, e una volta un facchino mi disse: «Ma se po’ sape’ quanti padri ciài?». Poi ho fatto l’omino che vende i palloni; nel ’25, l’Anno Santo, ero vetturino; poi sono stato tipografo, lucidatore di mobili, portiere, falegname.

Il postino
Che robba ahò! Ciò la testa piena de nomi de vie, nomi de gente, indirizzi… nun so più bôno de dì un nome senza mettere li ‘ndirizzi appresso. Capace me capita che incontro un amico e je fo:
«Uh…! Chi si vede…! Peppe Ragnetti, via del Pellegrino, 58, Roma. Come stai? E tu, zio, via dei Cappellari, 28, Roma, stai bene?». ‘Na sera stavo co’ ‘na ragazza… c’era la luna ner cielo… l’aria profumata de fiori… a un certo momento me intesi strofinà una guancia da una ciocca de capelli profumati… Je presi er viso tra le mani… dico: «Peppa! Peppa Cipolloni, via delle Tre Palle, 30, seminterrato… dimme che me vôi bene…!». Me dette uno sganassone. Disse che la pijavo in giro, invece è la confusione che faccio pe’ l’abitudine della professione. Capace che entro in un caffè, er barista me fa:
«Voi…».
Dico: «Un espresso».
Dice: «Un espresso, come?».
Dico: «Un espresso… urgente…».
Dopo un pochetto dice: «Ecco l’espresso…». Io, via! Invece de bevermelo lo metto in mezzo alla corrispondenza e impiastro tutto.
Una sera dovevo telefona’ a mi’ madre de preparamme du’ spaghetti che annavo de prescia, invece de dije: «Buttate giù la pasta» dico: «Pronto… buttate giù la posta…!». Me dovetti magnà un piatto de raccomandate ar burro e parmiggiano… che, intendiamoci, le raccomandate rinfrescano, ma li timbri, fanno venire un’aciditàne che nun c’è de peggio. E la confusione che fo co’ le date e li nomi delle vie. Uuuh! A Roma è pieno… Via IV Novembre, via XXI Aprile, via XX Settembre…
Una vorta una cartolina co’ la data del 21 aprile, indirizzata a via IV Novembre la portai a il 20 settembre a via XXIV Maggio! Che macello! Te vié una distrazione che te scordi de tutto. Avete letto de quella lettera recapitata dopo vent’anni? Mbe’, me la so’ scordata in saccoccia io… una discussione col destinatario…
Dice: «Ma dal 1922 me la portate adesso?».
Dico: «Signore, si tratta di un ritardo… la circolare non passava…».
Dice: «“Caro Mario, T’aspetto domenica alle due a piazza del Popolo. Portami quei soldi che mi devi dare, mi raccomando vieni, non mi fare aspettare molto”».
Dice: «E adesso, come si fa?».
Dico: «Provàmoce… tante volte, uno ha bisogno… se trattié un pochetto». Se mise a core’… a piazza der Popolo trova un regazzino…
Dice: «Papà è morto, me cià lasciato a me».
Pochi giorni fa ho portato una lettera tassata a uno.
Dice: «Datemela!».
Dico: «Un momento, ci vuole una lira».
Dice: «Prima la leggo poi ve la do».
Dico: «No, prima me date la lira, poi la leggete…».
Dice: «Ma io ve ridò la lettera!».
Dico: «E che ce fo?, io voglio la lira…».
Dice: «Mbe’, domani ve do la lira…».
Dico: «Mbe’, domani ve do la lettera…»,
Dice: «Siate buono… oggi non mi trovo comodo… aspetto una notizia importante, da cui dipende tutta la mia vita…».
Insomma, me commossi e je la detti. L’aprì.
Dice: «È una poesia…».
Dico: «Fatemela sentì…».
Dice: «No, leggetela voi…».
Dico: «Date qua…».
Lessi: «C’è poco da rugà, sêmo o nun sêmo… Hai pagato la multa. Bravo scemo!».
Dico: Mo’ dovete caccià la lira…».
Dice: «No, paga chi legge».
Dico: «Ma la lettera era indirizzata a voi e dovevate leggerla voi…».
Dice: «E che io so’ scemo? Già me ciànno buggerato cinque volte…».
Porca miseria!
Noi postini siamo messaggeri de gioia e de dolore… C’è una famiglia che quanno gli porto una buona notizia me fa rimanere a pranzo. A Natale ciò consegnato una lettera di certi parenti che diceva: “Quest’anno le Sante Feste non potremo passarle con voi perché zio Amedeo sta a letto con gli acidi urici”. Avessi veduto i salti di contentezza che hanno fatto. M’hanno invitato per tre vorte di seguito… Invece c’è un signore che quanno riceve quarche cattiva notizia se la prende con me… «Pezzo di villano, come vi permettete, un’altra volta, vi faccio vedere io…». Pochi giorni fa, avevo un biglietto del figlio sposato e c’era scritto: “Caro papà, stiamo per essere sfrattati, ci vogliono buttare i mobili in mezzo alla strada. Salvaci! Gino e Maria”.
Io ho aggiunto un N.B. “Non ti preoccupare, i mobili non li toccherà nessuno perché sono sotto sequestro, in quanto a noi sappiamo già dove andare a dormire… ce ne andiamo un mese all’ospedale, tanto più che dobbiamo operarci di appendicite. Bacioni, e stai allegro.”
Ora però me ne sta succedendo una grossa. C’è un certo signor Baffetti che abbita allo sprofondo. Tutti i giorni dovevo fare una scarpinata per portargli una cartolina, una semplice cartolina su cui c’era scritto: “Baci. Clara”. Una mattina mi sentivo molto stanco. Dico: «Ora gli telefono!». Infatti vado al caffè:
«Pronto. Ragionier Baffetti? Sentite, io sono il postino. Ho una cartolina per voi… Siccome mi sento poco bene, vi dispiace se ve la leggo?».
«No, anzi, facciamo prima! Cosa dice?».
«“Baci. Clara.”».
«Grazie!»
«Prego!».
La mattina dopo la solita cartolina, ma invece dei baci c’erano soltanto i “Saluti”. Io però per non dargli un dispiacere gli ho detto che c’era scritto: «Bacioni. Clara.».
La mattina appresso invece c’era scritto:
«Tra noi tutto è finito!».
Dico: «Poveraccio e come faccio ora a portargli una cartolina così?».
Allora me attacco al telefono:
«Pront? Sono io… “Ti voglio sempre tanto bene”».
Sentii dalla voce che rimase tanto contento. La mattina seguente non arriva niente, ma io telefono lo stesso.
«“Sei tutta la mia vita!”».
E quello a dimme che non era stato mai tanto felice… E io ho seguitato tutte le mattine: “Amore mio bello!”. “Più lontano mi stai e più vicino ti sento». “Sei sempre nel mio cuore!”. Insomma mo’ so’ sette mesi che je parlo d’amore, che te credi, non va a finì che me toccherà a sposallo a me?! Noi vivemo più che altro de soddisfazioni. Quano portano ‘na brutta notizia ce rincresce, e quanno ne portamo una bôna siamo felici. Er postino è la figura più simpatica der monno. A noi ci aspetteno tutti! Ce vengheno incontro tutti! Le ragazze, poi… «C’è niente pe’ me?» e je trema la voce.
Dico: «Sì, per voi ce so’ du’ letterone e una cartolina!».
E vedo du’ occhi che s’accenneno come du’ stelle.
Poi un’altra: «Per me?».
Dico: «Per voi?».
Dice: «Per me?».
Dico: «Cinque a me!».
Fo vede’ che me distraggo e fo la conta.
Invece lo faccio pe’ falla ride’ perché so che nun c’è nemmanco una cartolina.
Dice: «Ma non c’è niente?».
Dico: «No, cocchetta, stamattina no…».
E vedo luccicà du’ lacrime dentro du’ occhioni neri neri…
Dice: «Ma guardate bene… è più de una settimana… che non arriva niente».
Dico: «Ecco qua… si ve volete legge’ la lettera de questo… ma che ve importa a voi».
Le lacrime tremeno un tantino e poi scivolano su du’ guancette pallide pallide. A me me vié un gnocco in gola.
Dice: «Ma nella borsa c’è ancora roba…».
Dico: «Sì, ma nun so’ lettere; c’è no sfilatino pieno de patate a tocchetti; se ne volete mezzo…».
Poi c’è ‘na vecchietta bianca bianca che m’aspetta sempre. Je porto le notizie der fijo che sta a fa er soldato. Lei prima se pija la lettera, se la stringe sur core che je batte forte e piagne e ride de felicità. Mo’ je ne porto una che aspetta da tanti giorni. A forza de legge’ ‘ste lettere me pare d’esse’ diventato uno de la famija. L’aspetto pure io co’ la stessa ansia. Questa è l’urtima arrivata: mo’ ve la fo sentì: «“Mamma adorata, ti scrivo dalla zona d’operazione. Sto benissimo. Ho tardato perché in questi giorni abbiamo avuto molto da fare. Ti tengo sempre davanti agli occhi e non c’è mai un momento in cui ho paura di morire, perché la Madonnina che m’hai messo al collo quando sono partito mi protegge. Se vedessi, mamma, come sono cambiato, questa vita tempra i muscoli e lo spirito ci fa sentire veramente uomini. Perdonami se qualche volta ti ho dato qualche dispiacere e non stare in pena per me. Lascia le lacrime per quando tornerò, saranno tutte lacrime di gioia. Tornerò, sai. Sento che tornerò, il giorno non è lontano e sarà un giorno pieno di luce e di canti. Intanto ti mando tanti tanti tanti baci. Mamma mia bella, arrivederci presto. Tuo figlio Nino”».
E mo’ ve saluto: me vado a magnà le patate a tocchetti.