il palazzo delle Poste a Bergamo, un modo per inventare l'arte

Il geometra Ivan Antonio Russo se la ricorda ancora quella volta che un impiegato si mise a correre come un pazzo dietro al bandito che aveva rapinato una vecchietta su questa scalinata di pietra che scende davanti alla enorme vasca, rivestita con le tessere di un mosaico azzurro e abbellita dalla statua di un maestoso delfino da cui zampilla l’acqua della fontana. Acciuffò il ladro proprio qui accanto, strappandogli la borsetta con la pensione. Mentre controllava che ci fossero tutti i soldi, quello ne approfittò per scappare di nuovo. Ma non importava più. L’impiegato risalì le scale e trovò l’anziana signora che ancora piangeva, circondata da un grappolo di persone che cercava di consolarla. “Ecco i suoi soldi”, disse lui, prima di piegarsi sulle ginocchia per riprendere fiato. Nella loro monumentale storia questi imponenti palazzi, che hanno disegnato la vita delle Poste, raccontano altre mille storie, che sono quelle degli uomini che l’hanno costruito, attraversato e vissuto in questi novant’anni, lunghi come un fiume che corre verso il mare. A volte rimane un ricordo quasi involontario, eppure grandioso, persino artistico. Sulla Torre dell’orologio, che richiama lo stile di quella dei Caduti in piazza Vittorio Veneto, hanno messo delle finestre perché si potesse vedere Bergamo Alta, rispettando così le volontà del Comune. Ma adesso, prima del tramonto, quei vetri trattengono nei barbagli di luce tutta la città arroccata sopra la valle, come dipinti dai colori tenui, a volte resi umbratili dai riflessi capricciosi del sole che danza fra le nubi.

Una parata di capolavori
L’uomo ha trovato davvero mille modi per inventare l’arte. Angiolo Mazzoni, l’architetto bolognese che ha disegnato anche questo imponente edificio delle Poste e Telegrafi tra il 1929 e il ‘31, come tanti altri costruiti nel ventennio fascista, ha sempre avuto un occhio di riguardo per ogni forma di espressione artistica. A differenza di altri lavori, – si pensi a Napoli o a Palermo -, questa volta il palazzo di Bergamo sembra concepito con una linea apparentemente più sobria, che diventa monumentale però nella scelta di collocare sull’angolo Sud Ovest questa Torre dell’orologio – elemento verticale che dialoga, come era stato non solo formalmente richiesto dal Comune, con la Torre dei Caduti edificata da Marcello Piacentini quando venne chiamato nel 1907 per realizzare l’area della Fiera – e le cinque colonne celebrative sulla facciata principale che reggono altrettante statue, commissionate a tre artisti locali: Francesco Minotti («San Cristoforo»), Giovanni Manzoni (“L’Italia cattolica” e “L’Italia fascista”) e Nino Galizzi (“L’Italia etrusca” e “L’Italia romana”). La Torre ospita il doppio ingresso all’angolo. La statua di San Cristoforo è posta sulla quinta colonna, mentre le altre quattro delimitano il salone dell’Ufficio Postale.

Da qui cominciò la rivoluzione postale
Quello che sono adesso le Poste lo devono a Bergamo, e non solo in Italia, ma in tutta Europa. Perché era di Bergamo Francesco Tasso, protagonista della rivoluzione postale del 1500. Fu lui che avviò e organizzò le poste degli Asburgo creando, tramite i corrieri a cavallo, le carrozze e le stazioni di posta, collegamenti veloci e stabili con le principali città europee. Se non ci fosse stato lui, la nostra società, quella delle telecomunicazioni di massa, sarebbe un po’ diversa da come la conosciamo oggi, e forse Facebook e Twitter non esisterebbero ancora. E allora, a pensarci bene, è persino normale il legame che c’è fra Bergamo e il suo Palazzo delle Poste. E non è un caso che quando nel 1973 trasferirono al Ministero delle Poste le tele di Sironi per essere restaurate, l’intera città si mobilitò perché tornassero sui muri dov’erano nate. Se non si può fermare il tempo, possiamo almeno tenerci quello che hanno saputo fare per noi gli uomini.