Tra le lettere più celebri del Novecento restano Resistenza e resa, un grande carteggio dal carcere di Dietrich Bonhoeffer il pastore protestante che nel secolo scorso ha terremotato la fede cristiana, facendola diventare significativa nella modernità. Meno note, ma altrettanto innovative sono le sue “Lettere alla fidanzata, cella 92”. Corrispondenza dal carcere di Berlino-Tegel, intercorsa tra il 1943 e il 1945. Non finisce di affascinare se letta insieme alle risposte struggenti della sua giovane fidanzata Maria von Wendemeyer. Vi si tesse la storia di un amore unico e non consumato, alimentato dalla speranza di libertà e di una vita comune, lontano miraggio. Dietrich, infatti, colpevole di cospirazione contro Hitler verrà impiccato il 9 aprile del ’45 nel campo di Flossenburg. Esattamente 75 anni fa. Tra i massimi teologi del Novecento, Bonhoeffer è il cristiano che sgretola la fede in un Dio pensato come “tappabuchi” delle nostre insufficienze. Immaginarselo entro una storia d’amore gentile e tragico è terribilmente difficile. Il teologo geniale di 37 anni vi appare un amante della vita perché sostenuto da un amore ricambiato per una donna di 19 anni.

La speranza

Il velo su questo aspetto quasi inedito del pastore militante viene sollevato nel 1992 da Lettere alla fidanzata, cella 92 (edizione Queriniana) scritte dal carcere dove fu recluso a pochi mesi dal fidanzamento. Lettere d’amore pensoso e forte del teologo, ardente di Maria. Secondo il biografo più autorevole di Bonhoeffer sono “testimonianze di questo strano fidanzamento e di questa storia di amore piena di rinunce”. Dalle Lettere emerge una volontà di speranza contro l’evidenza degli cose, che lascia malinconia. Speranza stupenda proprio perché l’intellettuale Dietrich considera la possibilità concreta di una condanna a morte. Bonhoeffer non fa finta di parlare d’amore. Parla davvero di amore. Parla di desiderio, di futura progettualità con Maria che, nella sofferenza e nella mancanza dell’uomo amato, matura in fretta. Il fidanzamento cresce e si consolida per corrispondenza e con brevi colloqui sorvegliati nella prigione. Le Lettere tra lui di 37 anni e lei di 19 racchiudono un vero romanzo d’amore senza rose, dove la forza dell’uomo e della donna che si amano si muta in una lotta appassionata e concreta per la vita e la felicità. “Non intendo la fede che fugge dal mondo – scrive Dietrich il 12 agosto del ’43 – ma quella che resiste nel mondo e ama e resta fedele alla terra malgrado tutte le tribolazioni che essa ci procura. Il nostro matrimonio deve essere un sì alla terra di Dio, deve rafforzare in noi il coraggio di operare e creare qualcosa sulla terra. Temo che i cristiani che osano stare sulla terra con un piede solo, staranno con un piede solo anche in cielo”. Ma è l’amore che alimenta la speranza. E nell’amore Dietrich e Maria si rassomigliano e colmano le distanze. “L’amore non è qualcosa a sé, ma è così come gli uomini sono e sono diventati. Io non voglio un amore qualsiasi e nemmeno l’amore, ma voglio il tuo amore, che è così come sei tu, e anche tu in me non trovi altro che il mio amore, ma lo trovi tutto”. E Maria risponde: “Dovresti essere qui a vivere con me la primavera. È bello come in un sogno…pendii di un verde meraviglioso scendono fino a valle, e gli alberi in fiore fanno dimenticare che c’è la guerra e la discordia”. Si scrivono un uomo rarissimo e Maria che lo rimpiangerà nel resto della sua vita segnata da due matrimoni non riusciti e dalla lotta con il cancro che la stronca nel 1977.