Sarà diverso. Sara digitale. Sarà poliedrico. Sarà connesso. Parlerà lingue diverse. Avrà spazi polivalenti, tempi di fruibilità senza vincoli di orario. Sarà accogliente. Sarà più simile a un centro di servizi e di consulenze, ritagliate sulle esigenze più disparate, che al classico sportello ottocentesco, con la sua fila, i suoi riti sempre uguali, le sue attese, i suoi timbri e le sue scartoffie. “L’Ufficio postale del futuro” sarà così: ma il processo che porta a questo risultato non è un gioco di ruolo, un film di fantascienza con un bel copione già scritto, o un progetto comprato a scatola chiusa, concepito a tavolino come se fosse un teorema matematico. È già una realtà, un impegno che nasce da un progetto concreto, un work in progress che si evolve passo dopo passo, a grande velocità. Ed è dunque un cantiere di innovazione continua, una sfida di progettazione senza rete, che coinvolge tutte le intelligenze possibili. È questa la prima immagine che mi colpisce quando inizio il mio viaggio parlando con Emiliano, 40enne, vulcanico referente per le iniziative Laboratorio di Innovazione nella macro funzione Digital, Technology & Operations di Poste. E quando subito dopo di lui, indagando su questo tema, sento in sequenza la sua squadra, e i responsabili dei settori più importanti coinvolti nel progetto. Quando inizio questo piccolo viaggio scopro che nel terreno più decisivo per le sfide del suo domani, l’azienda mette in campo collaborazioni con le università, brainstorming tra i dipendenti, challenge con cui coinvolgere gli studenti del Politecnico (nell’ultimo caso quello di Torino, ma in passato anche quello di Milano, prima ancora l’Università di Roma) tessendo l’ordito di un percorso creativo fondato sulla forza delle idee, piuttosto che sulla ritualità dei ruoli o degli schemi.
Sfida a sei
L’ultimo capitolo di questa vicenda nasce infatti da una collaborazione tra Poste e il Politecnico di Torino. Tra ottobre e dicembre, per due mesi, gli studenti (30 impegnati in 6 team) hanno lavorato per produrre nuovi progetti. La formula prescelta è stata quella della “Challenge”. Ovvero di una sfida tra sei squadre di universitari (seguite e guidate dai tutor dell’azienda) che lavoravano, in concorrenza, su progetti diversi. Emiliano – che da coordinatore dell’area Innovazione tirava le fila di questo lavoro – spiega come è nato questo piano, e perché. Mi dice, con un sorriso: «Facciamo ricorso sempre più spesso alle challenge e alle collaborazioni con le università, perché questa modalità ci mette in contatto con mondi diversissimi, che per noi sono vitali. I nostri interlocutori sono studenti, sono giovani, sono entusiasti: molti di loro, spero tutti, saranno i nostri clienti del domani, altri forse saranno, mi auguro tanti, i futuri dirigenti di questa azienda…». Probabilmente Emiliano avverte il mio stupore mentre mi racconta questa linea di grande apertura verso l’esterno, e così mi spiega quale sia la ratio che Poste sta seguendo: «Questi ragazzi hanno la mente libera, non hanno le sovrastrutture di chi lavora da anni, magari benissimo, in una organizzazione gerarchica e stratificata. Loro, al contrario di noi, non vedono il presente come un ostacolo, ma il futuro come un obiettivo». Poi, Emiliano declina l’esempio: «Prendiamo questa challenge sull’Ufficio Postale del futuro: delle sei squadre coinvolte, tutte hanno inserito nei loro progetti idee valide e innovative. Una di queste squadre è riuscita a congiungere più intuizioni, costruendo un progetto articolato che noi abbiamo considerato di livello addirittura superiore».
Mix di professionalità
Anche Rosanna (che lavora nel team di Emiliano ed è stata una delle tutor che ha seguito sul campo gli studenti di Torino nel loro lavoro di progettazione) condivide questa impressione: «La cosa che più mi ha colpito di questi ragazzi è stata scoprire, quando nel lavoro di squadra si è affrontato il tema della riprogettazione degli spazi, che gli studenti del Politecnico avevano nel loro gruppo un mix di professionalità diversissime, ma già perfettamente integrate tra di loro. Lavoravano già come una squadra multidisciplinare e affiatata, accompagnando alla fase più creativa anche quella concretissima della progettazione di dettaglio e della conseguente analisi costi-benefici. Alcuni gruppi avevano fatto anche stime sui prezzi chiavi in mano simili alla spesa che serve per acquistare un’auto di media grandezza». Questi ragazzi si sono rivelati visionari, dunque, ma anche molto pragmatici.
L’architrave di Poste
Nel team che ha dialogato con i ragazzi, e che ha connesso il loro lavoro con l’esperienza dell’Azienda, c’era anche Mauro, responsabile della Qualità e dei Processi di funzionamento degli Uffici Postali. Mauro è un quadro relativamente giovane, ha 34 anni, viene da Bergamo, ma nella sua rapida carriera ha fatto in tempo a fare quasi tutto, a partire dal lavoro agli sportelli. Se ci parli capisci subito che ha una conoscenza quasi enciclopedica, di dettaglio, della situazione di partenza del mondo Poste sul territorio: «Abbiamo la rete capillare aziendale più estesa d’Italia. Ma anche la più estesa d’Europa. E in questi tredicimila Uffici Postali, che sono l’architrave portante di Poste, ci sono, ovviamente, situazioni molto diverse tra di loro. Alcuni di questi sportelli sono ubicati in edifici storici, di pregio, sottoposti addirittura a vincoli delle soprintendenze. Altri sono nei piccoli comuni italiani, i più sperduti. Altri sono di nuova edificazione e concezione, si prestano più facilmente a implementare le innovazioni di cui stiamo parlando. Più di uno su due è infrastrutturato con gli ATM, ovvero gli sportelli di servizio semi automatici, che tutti conoscono come Postamat». Mauro fa un collegamento con il tema della ricerca: «Nella challenge del Politecnico alcuni ragazzi sono arrivati a immaginare dei percorsi precostituiti per permettere, ai cittadini stranieri, di ottenere persino il permesso di cittadinanza online. Ecco come lo studio sull’Ufficio si lega alla domanda che ci arriva dai territori». Ancora Emiliano: «Io immagino che il futuro della nostra azienda, la scommessa più impegnativa, ma anche più bella, sia nella capacità di coniugare l’aspetto digitale e quello fisico. Il che significa anche che lo sportellista di domani diventerà un assistente che guida la clientela, e che la indirizza nel suo percorso, piuttosto che un terminale costretto e sottoposto ad azioni ripetitive». Ovviamente anche questo, in parte, sta già accadendo.