Le giornate dei bambini chiusi in casa

Lorenzo, che ha nove anni, ha giocato a calcio con un pallone di spugna per i corridoi della casa, nelle camere in disordine, tirandolo contro i poster appesi alla parete, spingendolo sotto i tavoli e le sedie, fra le urla della mamma. Non potevano uscire, nessuno poteva farlo: erano tutti chiusi dentro, lui, la sorella Veronica, papà Daniele. La pandemia ha cambiato il significato dei luoghi, ha popolato le nostre case di una vita nuova, riempita senza interruzione dalle nostre presenze. E fa un effetto strano perché nello stesso momento il Covid ci ha allontanato dalle strade, dalle piazze, da tutti i posti che eravamo abituati a frequentare. Ma non ha allontanato solo noi, li ha svuotati della frenesia e del logorio della società di massa, dei suoi orpelli leziosi, dei suoi rumori assordanti e della sua ritornante confusione.

Le voci dei bambini

Siamo rimasti da soli a guardare le mura antiche del Colosseo, perché non c’erano turisti, non c’erano pullman e non c’era più nessuno, e il Canal Grande a Venezia nei giorni infiniti del lockdown è riapparso miracolosamente con le acque limpide sulle quali accanto ai nostri volti si specchiavano anche le immagini dei Dogi e delle galee che attraversavano i secoli. In questo silenzio quasi antico si sono riempite di voci le case. Le voci dei bambini. Se Lorenzo ha giocato a calcio in casa, sua sorella Veronica, di 9 anni, che studia canto moderno, si è esibita sul terrazzo, come racconta il babbo Daniele, da Ascoli, “perché purtroppo ha dovuto rivedere i suoi ritmi e organizzarsi con l’insegnante per prove alternative svolte su piattaforme digitali. Il balcone è diventato il suo palco, e, come tanti italiani, si è ritrovata a cantare tutti i giorni tra i palazzi del nostro quartiere”.

“Fare i conti con il tempo”

In questo ribaltamento della quotidianità, il tempo ha acquisito un valore diverso, per diventare un tempo di consapevolezza, che restituisce il senso della pandemia e l’importanza della comunicazione, come spiega Antonella, portalettere presso il centro di Pianodardine ad Avellino, che ha tre figlie, Mariasole di 12 anni, Angelica di 9 e Giadaluce di 7. In casa, dice, sono venute a sovrapporsi necessità differenti tra i genitori e le bambine: “Il lavoro, la cura dell’appartamento, la scuola e il gioco si sono fusi in un unico spazio e in un tempo complementare. È diventato necessario inventarsi un nuovo modo di vivere, non riempire allo stremo il tempo, ma cercare di seguire una routine il più possibile simile a quella che avevamo prima della pandemia: svegliarsi e fare colazione, lavarsi il viso, dirsi buongiorno… Ma soprattutto riflettere sull’importanza del fermarsi e prendersi un tempo per spiegare ai nostri figli quello che sta accadendo intorno a noi. Questo ci ha aiutato tutti, noi e loro, a capire e a percepire la straordinarietà del momento sentendosi però al sicuro, protetti e tutelati, ma anche attivi in questa battaglia. Restare a casa significa aiutare ad aiutarsi. E non vivere passivamente una situazione”.

Fare i conti con il tempo

Così, dice, “a volte abbiamo lasciato che ci fosse un po’ di vuoto, di noia, in modo da trovare il tempo per assimilare insieme quello che stiamo vivendo senza esserne travolti. In questo mondo di distanza, la tecnologia è un’alleata preziosa e un privilegio. Noi genitori abbiamo imparato a fare i conti con il tempo, cercando di non sprecarlo. E se un giorno siamo stati maggiormente presi dal lavoro, e non abbiamo trascorso il tempo di qualità che volevamo con i nostri figli possiamo perdonarci, impegnandoci a non fare lo stesso domani”.

“Giornate tutte uguali”

Dentro la casa, fra le sue mura, siamo stati costretti finalmente ad ascoltare i bambini. Noi non ce ne accorgiamo, ma le loro voci possono insegnarci tanto. Sofia, 12 anni – sua mamma, Livia Ialongo, lavora alle Poste a Roma – ha voluto descrivere in poche righe il piacere delle piccole cose che sono vicine a noi, e che non riusciamo mai a vedere nella nostra corsa infinita dietro alla vita. “Mi sono mancati molto tutti, i miei amici, i nonni, i compagni di classe, le amiche del pattinaggio. Le giornate erano tutte uguali: video, lezioni, pranzo, compiti. Ero un po’ triste, ma poi ho iniziato ad usare questo tempo per me, e ho riscoperto le piccole cose ti fanno sentire felice, come un giro in bicicletta con mio fratello, il tempo per stare insieme alla mia famiglia, poter giocare quasi tutti i giorni con la mia migliore amica anche se in video con WhatsApp! E, infine, l’appuntamento fisso al pomeriggio al parco con i miei vicini di casa, in quel parco che prima della pandemia è sempre stato vuoto…”.

L’amore per le piccole cose

Noi adulti ce ne accorgiamo solo quando le abbiamo perse delle piccole cose, dal rumore che fanno quando se ne vanno via, dal silenzio che resta. Eppure, è l’amore per le piccole cose che ci trattiene nel mondo, che ci rivela il senso della vita, e il suo piacere. Come dice Jim Morrison, “fai attenzione alle piccole cose, perché un giorno ti volterai e capirai che erano grandi”. A volte sono azioni banali, piccoli gesti. Sono dei momenti che rappresentano uno stato d’animo. Per questo li conserviamo. Lorenzo, di Roma, dice che quando sono tornati a scuola erano tutti felici. “Poi anche a Pasqua e durante le vacanze di Pasqua ci sono stati tre compleanni e mi sono tagliato i capelli. Erano troppo lunghi. Ora sembro il gemello di mio cugino Riccardo”.

“Ci tiravamo la farina”

Certo, la pandemia che ci costringe nel suo spazio ristretto dentro la casa, ha le sue luci e le sue ombre, perché accanto al piacere della famiglia e al coinvolgimento dei genitori nei giochi dei bambini, questa relazione quasi esclusiva non è del tutto naturale per la crescita dei figli. Papà e mamma oltre che lavoratori molto spesso in smart working diventano insegnanti di supporto, costretti a imparare le logiche di Zoom, Meet, e dei videogiochi di Youtube. E i bambini vengono privati di tutto il tempo dedicato alla socialità, alle uscite, alle partite di pallone, agli amici, e persino ai miniconflitti generazionali. Eppure, anche in questa situazione avversa, sono sempre le piccole cose che possono abbellirci l’esistenza.

Il piacere della famiglia

Elena, direttore dell’Ufficio Postale di Ripa, racconta che con sua figlia Anna, di 12 anni, si sono messe insieme a studiare la chitarra, avendo tutto il tempo per imparare a suonarla bene, e a ridere e a scherzare. Invece Isabella ha pensato di condividere l’esperienza del cucinare con le sue bambine, Sofia e Federica, di 12 e 9 anni: “Ci siamo divertite tanto anche mentre si preparava l’impasto per la pizza e ci tiravamo la farina, o mentre si faceva un dolce al cioccolato e loro di nascosto ripulivano la scodella dei residui rimasti sul fondo e si burlavano di me. Sono riuscita a trasmettere loro la mia passione per la pittura, con l’immaginazione ci siamo fatti condurre nei posti più lontani. La pandemia non è stata una bella esperienza. Ma mi ha fatto riscoprire il piacere della famiglia, il valore dell’amicizia e, soprattutto, mi ha fatto capire che dovremmo goderci l’essenza della vita attraverso le piccole cose”.

Adattarsi al cambiamento

Ecco le nostre case sono diventate queste cose qui, popolate dai bambini, dalle loro voci, dall’entusiasmo di chi ha tutta la vita davanti. I figli di Amelia, di Montecchio, che hanno 11 e 13 anni hanno fatto lezioni a distanza, giocato online con gli amici e letto i loro libri preferiti, rintanati fra le stesse mura. Sì, di sicuro non è normale una vita così per dei ragazzi, ma non si sono mai sentiti soli, ha detto Amelia. I luoghi possono essere come le persone, li riconosci subito, dal profumo del cielo o dall’asperità di un terreno, dal rumore che fa il vento quando passa fra gli alberi o si poggia su una via. Dalle pareti amiche che ti fanno compagnia. Dentro le case stiamo aspettando di ritrovare il mondo, di guardare di nuovo il mare, e ci saranno cose messe da parte, una rete, una corda lasciata sulla pietra. Rimaste lì ad aspettarci, perché torneremo a prendere il largo. Cloe, 10 anni, quando le hanno chiesto che cosa le avesse insegnato questa pandemia, ha fatto un sorriso con la bocca sporca di gelato: “Mi ha insegnato che nella vita bisogna adattarsi a cambiamenti improvvisi… E a trovare comunque il bello!”.