Per Pellegrino Artusi la cucina era soprattutto cultura, racconto, esperienza. A lui, nel bicentenario della nascita, è stato dedicato un francobollo commemorativo a cui si è aggiunto un elegante cofanetto con il Manuale “Pellegrino Artusi – La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene” e un folder filatelico. Dell’Artusi e della sua eredità abbiamo parlato con Davide Paolini, giornalista e celebre gastronomo o, meglio ancora, “gastronauta” che con Artusi condivide le origini romagnole e l’amore per la cucina.
Nel bicentenario della nascita è uscito un francobollo dedicato a Pellegrino Artusi insieme al manuale che scrisse nel 1891. Perché è importante riscoprire questi testi e collegarli anche a una forma di collezionismo classica come il francobollo?
“Artusi rappresenta una pietra miliare nella cucina italiana. Le sue ricette sono dedicate solo ad alcune regioni del centro-nord, principalmente alla Toscana e alla Romagna, ma Artusi rappresenta molto di più, un modo di intendere la cucina. Oggi tutti i ricettari sono scritti in maniera molto tecnica e molto professionale. Il suo, invece, è il manuale di uno scrittore. E anche il francobollo è molto importante, perché è un prodotto che ha la capacità di incuriosire e di richiamare all’opera di Artusi”.
La cucina è anche cultura. La pandemia e il lockdown come hanno cambiato la percezione degli italiani nei confronti del consumo gastronomico?
“La cucina è cultura soprattutto in Artusi. Da molti mesi l’Italia sta mangiando a casa e questo ci ha fatto riscoprire un mondo che avevamo dimenticato. Per molte generazioni il pranzo di famiglia non esisteva: si era perso il gusto della cucina e dei profumi. Ora vedremo se con il ‘liberi tutti’ queste abitudini resisteranno”.
Oggi la cucina è diventata anche spettacolo. Lei, nel libro “Il crepuscolo degli chef” è critico nei confronti dei talent e dei programmi dedicati alla cucina. Come dovrebbe essere lo storytelling della cucina in televisione e su internet?
“Avevo previsto che la ‘cucina spettacolo’ avrebbe perso di interesse perché è molto costosa. Si butta via molto cibo e non c’è attenzione alla stagionalità”.
Cosa bisognerebbe recuperare dello spirito di Artusi per Davide Paolini?
“Dello spirito di Artusi bisognerebbe ritrovare il racconto. Il suo libro è ricco di personaggi. Qualche anno fa avevo coinvolto alcuni chef – Vissani, Pierangelini, Bologniesi e Cipriani – in una rivisitazione in chiave moderna del manuale per rendere attuali le sue ricette. La cucina di Artusi è molto semplice ma la quantità era adatta ai tempi in cui si andava a lavorare nei campi. E poi, purtroppo, non possiamo pretendere che i pomodori o i cappelletti di cui ci parla Artusi abbiano lo stesso profumo oggi. Questo volume aiutava a ricreare quelle ricette”.
Ci aspetta ancora un’estate di turismo interno. Quali sono i suoi consigli di gastronauta?
“Ci sono alcune regioni insospettabili. Penso ad esempio alla Basilicata, che offre un itinerario lontano dalle grandi rotte e alla scoperta di prodotti molto significativi che non hanno la forza per essere portati fuori dai confini regionali. In molte delle sue trattorie si mangia ancora in maniera genuina. Lo stesso si può dire dell’Abruzzo e, al Nord, della Valle d’Aosta, che offre itinerari molto intriganti. Diciamo che in Italia non si sbaglia. Toscana e Langhe sono il non plus ultra”.