La portalettere di Manara

La sua portalettere ha fatto il giro del mondo, insieme agli altri ritratti dedicati alle donne del lockdown, quelle che hanno sfidato il virus continuando a fare il proprio lavoro anche in piena emergenza. Il Maestro Milo Manara, nei primissimi giorni di marzo 2020, quasi per caso, decise di pubblicare su Facebook i suoi disegni. Prima fu travolto dall’entusiasmo dei social, presto arrivò una telefonata del Washington Post che pubblicò il ritratto dell’infermiera di fronte a un’enorme cellula di coronavirus, a seguire ci furono il cofanetto per Feltrinelli Comics (con gli introiti donati all’Ospedale Luigi Sacco di Milano, al Policlinico Universitario di Padova e all’Ospedale Domenico Cotugno di Napoli) e l’asta parigina delle tavole originali con ricavato in donazione alle Protezioni Civili di Italia, Belgio e Francia. “E sono contento che oggi il mio ritratto della crocerossina si trovi a grandezza naturale in molti hub vaccinali”.

Maestro, cosa c’è dietro ai suoi “lockdown heroes”?

“Per ricostruire quello che è accaduto bisogna fare lo sforzo di tornare a quei primi giorni di marzo, che oggi sembrano lontanissimi. C’era un senso di angoscia, non si sapeva quasi nulla di questo virus che aveva colto impreparato tutto il mondo. L’8 marzo, come faccio sempre per omaggiare le donne, disegnai un’immagine: un’infermiera che affrontava un virus sconosciuto, dall’aspetto alieno. Poi, con il passare dei giorni, osservando mia figlia che ci portava la spesa a casa, cominciai a pensare alle cassiere del supermercato e a tutte le altre giovani donne che stavano continuando a fare il loro lavoro esponendosi al rischio, mentre noi stavamo chiusi in casa, per fare in modo che non ci mancasse nulla”.

Che ricordo ha di quei giorni?

“Non riuscivo a lavorare, proprio come è accaduto a tanti lettori accaniti che non riuscivano ad andare oltre la seconda pagina di un libro. La Valpolicella, dove abito, era totalmente silenziosa. Di tanto in tanto si sentivano le sirene delle ambulanze. Era una situazione angosciante che impediva qualsiasi attività normale. Via via che mettevamo online questi disegni vedevo che raccoglievano da tutto il mondo le emozioni e la gratitudine delle categorie che avevo disegnato e il sostegno di chi riconosceva in loro un ruolo sociale fondamentale. Ora posso dire che questi disegni hanno salvato me, prima ancora di essere un conforto per gli altri. Ho ricominciato a prendere in mano i colori con un nuovo obiettivo che mi ha permesso di continuare a disegnare in modo continuativo”.

Al di là delle diverse categorie lavorative, i suoi ritratti possono essere considerati un omaggio alle donne, che spesso si sono trovate a occuparsi contemporaneamente di figli piccoli e genitori anziani?

“Certamente sì. Nella mia vita ho raccontato la bellezza e la seduzione delle donne. In questa occasione mi pareva il caso di celebrare altre virtù, per un insieme di motivi, tra cui una curiosa coincidenza: la prima persona che fuori dalla Cina ha diagnosticato il Covid è una anestesista di Codogno che si chiama Annalisa Malara, quasi come mia sorella che si chiama Annalisa Manara”.

La sua portalettere non consegna pacchi ma mostra una busta con i francobolli. È una scelta artistica o un’idea romantica?

“Un insieme di entrambe le cose, ma soprattutto mi interessava che a colpo d’occhio si riconoscesse che si trattava di una portalettere. Nel comune di Sant’Ambrogio c’è una postina che conosco benissimo e devo ringraziare le Poste perché ricevo lettere da tutto il mondo, nonostante spesso riportino un indirizzo sommario, come “Milo Manara. Provincia di Verona. Italia”. Al di là di questo dettaglio personale, la posta è il segnale del livello di civiltà di una società, il primo parametro che ne indica il funzionamento”.