In questa intervista, realizzata dal magazine Postenews, lo scrittore Andrea De Carlo racconta il suo rapporto con la scrittura e con la corrispondenza.
In Piazza della Repubblica a Urbino, il cuore della città ducale, vestito di scuro, la mascherina nera in viso, Andrea De Carlo arriva quando ha smesso di piovere e il sole risplende sull’acciottolato. Autore di molti romanzi di successo, “Macno”, “Due di due”, “Cuore primitivo” – prima assistente di Oliviero Toscani, poi collaboratore di Fellini, Antonioni – l’ultimo pubblicato è “Il teatro dei sogni” (La nave di Teseo, 2020). Ci sediamo a un tavolino del Caffè degli Archi, gli ricordo la lettera che segnò il suo destino letterario, quella scritta da Italo Calvino nel novembre del 1980, che annunciava il suo apprezzamento e che Einaudi avrebbe stampato il libro d’esordio “Treno di panna”. “Avevo mandato il romanzo a tutti gli editori”, ricorda divertito, “poi dall’Einaudi la Ginzburg mi inviò una lettera di cortese rifiuto, e subito dopo arrivò quella di Calvino che invece era entusiasta, scritta con questo suo modo meravigliosamente brillante, musicale”.
Gli amori passati
Avendo viaggiato moltissimo sin da giovanissimo in Europa, Sudamerica, stabilendosi prima a New York e poi in Australia, dice: “La mia formazione di scrittura è avvenuta proprio attraverso le lettere, quelle che scrivevo da posti lontani ai miei, a mia sorella, agli amici, raccontavo di situazioni, persone che incontravo”, erano lettere lunghissime che scriveva a macchina con la sua Olivetti Lettera 22, battendo frenetico sui tasti, “la lettera allora aveva un valore enorme, le informazioni arrivavano così”. Un suo amico che era andato a vivere a Los Angeles gliene inviava allora “piene di immagini, di invenzioni, parlava del cinema, dei personaggi della televisione, della sua infatuazione per questo mondo in vetrina”. Le lettere amorose non le ha mai conservate, le donne secondo lui ci tengono di più, “delle mie amiche avevano un posto preposto, un bauletto o un cassetto speciale dove le tenevano, io ho finito per perderle, ma era una dimensione che non è stata sostituita mai, la riflessione, la grafia che riconosci, anche la macchina da scrivere aveva una sua personalità, e poi la busta”, racconta, tutta la ritualità del piegare il foglio, procurarsi il francobollo, “anche la cassetta, perché alcune mi sembravano più sicure di altre”.
Quella Panda ammaccata
Andrea De Carlo riceveva tantissime lettere da lettori, corrispondenza, e a un certo punto era diventato amico di un portalettere che consegnava nelle campagne intorno a Urbino, “questo Loris una volta arrivò con la sua Panda ammaccata perché era stato assalito da due maremmani giganteschi, mi raccontava del suo lavoro, del suo sguardo verso noi clienti”. Con Fellini purtroppo niente lettere, solo lunghe telefonate, “sarebbe stato bello” dice con rammarico, “sarebbe rimasto qualcosa”. Ne ricorda invece una bella ricevuta da Mario Soldati dopo l’uscita del primo libro, “scritta molto impulsivamente e generosamente”, una brevissima di Moravia, “scarna, di poche parole, mi chiedeva di incontrarlo”. Confessa di sentire un grande fascino per la posta, “i pony express che corrono nelle praterie con i cavalli” dice sognante, “i postiglioni”, ed è anche grande lettore di epistolari, come quello di Rossini o di Francis Scott Fitzgerald, uno dei suoi scrittori preferiti, “lettere scritte alla figlia, lì entri in un’intimità diversa dai libri o di una biografia, leggere gli epistolari è un modo straordinario per entrare nella vita degli altri, ma anche in un altro tempo storico”; cita uno scambio di lettere tra Verdi e Ricordi, il suo editore, “mi aveva colpito che addirittura a volte il musicista scriveva e imbucava con la prima posta la mattina, e riusciva ad avere la risposta entro sera. Non è straordinario?”.