Lettere nella storia: Terzani, San Francesco e il sultano

“Cara Oriana, non è un crimine parlare di pace” afferma una lettera aperta del noto giornalista e scrittore Tiziano Terzani, pubblicata sul Corriere della Sera dell’8 ottobre 2001 col titolo “Il Sultano e San Francesco”, in risposta all’articolo “La rabbia e l’orgoglio” di Oriana Fallaci, che la giornalista scrittrice aveva pubblicato sul quotidiano di via Solferino sull’onda dell’indignazione suscitata dall’attacco alle Torri Gemelle dell’11 settembre.

Parole attuali

La lettera di Terzani resta una miniera di riflessioni e spunti audaci sulla pace, il terrorismo, la guerra, la violenza, la politica avventurista che nulla cambia in meglio. Torna attuale davanti alle drammatiche vicende afghane tuttora non risolte. E così quella lettera sarebbe da leggere e discutere in tutte le scuole e dai professionisti della politica. Più che atto di accusa della pigrizia e malavoglia è una spinta all’Occidente perché ritrovi il suo migliore umanesimo scegliendo la via della fraternità anziché furbizia e ritorsione. Meglio ancora facendosi portabandiera della fraternità e dei diritti umani. L’odio, il rancore, l’orgoglio, la forza delle armi non pagano. L’Afghanistan ne è l’ultima, schiacciante prova. Curiosa convergenza di Terzani con papa Francesco che incalza il mondo per una svolta di fraternità efficace.

Il cammino di Terzani

“Pensare quel che pensi e scriverlo è un tuo diritto – scrive Terzani alla Fallaci -. Il problema è però che, grazie alla tua notorietà, la tua brillante lezione di intolleranza arriva ora anche nelle scuole, influenza tanti giovani e questo mi inquieta. Il nostro di ora è un momento di straordinaria importanza. L’orrore indicibile è appena cominciato, ma è ancora possibile fermarlo facendo di questo momento una grande occasione di ripensamento. E un momento anche di enorme responsabilità perché certe concitate parole, pronunciate dalle lingue sciolte, servono solo a risvegliare i nostri istinti più bassi, ad aizzare la bestia dell’odio che dorme in ognuno di noi ed a provocare quella cecità delle passioni che rende pensabile ogni misfatto e permette, a noi come ai nostri nemici, il suicidarsi e l’uccidere. “Conquistare le passioni mi pare di gran lunga più difficile che conquistare il mondo con la forza delle armi. Ho ancora un difficile cammino dinanzi a me”, scriveva nel 1925 quella bell’anima di Gandhi. Siamo al punto decisivo di scegliere tra lo spirito di crociata proposto da Oriana e la proposta di fraternità di Francesco di Assisi.

“Ama il prossimo tuo come te stesso”

“E tu, Oriana, mettendoti al primo posto di questa crociata contro tutti quelli che non sono come te o che ti sono antipatici, credi davvero di offrirci salvezza? La salvezza non è nella tua rabbia accalorata, né nella calcolata campagna militare chiamata, tanto per rendercela più accettabile, “Libertà duratura”. O tu pensi davvero che la violenza sia il miglior modo per sconfiggere la violenza? Da che mondo è mondo non c’è stata ancora la guerra che ha messo fine a tutte le guerre. Non lo sarà nemmeno questa”. Ci rivorrebbe un San Francesco – è l’auspicio di Terzani -. “Anche i suoi erano tempi di crociate, ma il suo interesse era per “gli altri”, per quelli contro i quali combattevano i crociati. Fece di tutto per andarli a trovare”. Ci provò e riprovò. “Sconvolto da una spaventosa battaglia di cui aveva visto le vittime, San Francesco attraversò le linee del fronte. Venne catturato, incatenato e portato al cospetto del Sultano. Peccato che non c’era ancora la Cnn – era il 1219 – perché sarebbe interessantissimo rivedere oggi il filmato di quell’incontro. Certo fu particolarissimo perché, dopo una chiacchierata che probabilmente andò avanti nella notte, al mattino il Sultano lasciò che San Francesco tornasse, incolume, all’accampamento dei crociati. Mi diverte pensare che l’uno disse all’altro le sue ragioni, che San Francesco parlò di Cristo, che il Sultano lesse passi del Corano e che alla fine si trovarono d’accordo sul messaggio che il poverello di Assisi ripeteva ovunque: “Ama il prossimo tuo come te stesso”.