Il Palazzo delle Poste di Napoli, inaugurato il 30 settembre del 1936, è uno dei capolavori dell’Architettura del Novecento. Sotto il profilo estetico, negli arredi, nel design e sotto il profilo tecnologico, per le soluzioni adottate dall’architetto Giuseppe Vaccaro con il collega Gino Franzi. Il progetto prende vita all’interno del piano di risanamento del quartiere Carità progettato alla fine dell’Ottocento e attuato negli anni Trenta, dopo una serie di sventramenti e demolizioni delle vecchie case cadenti. L’edificio si colloca all’interno di un “Centro delle Istituzioni” previsto dal piano di bonifica: Palazzi della Questura, della Provincia, della Finanza, dei Mutilati e, appunto, delle Regie Poste.
Il progetto
Per la sua realizzazione viene bandito un concorso nel 1928 che porta a selezionare cinque progetti. Un secondo concorso nel 1930 vedrà vincitore il progetto di Giuseppe Vaccaro che viene poi affiancato dall’architetto Gino Franzi. È proprio nella fase esecutiva che il progetto prende vita liberando la facciata dell’edificio da ogni fronzolo o orpello. La sua monumentalità è così affidata alla purezza delle linee e alle armonie volumetriche ottenute per “occultamento”: i montanti verticali dei grandi cristalli sopra le porte d’accesso vengono incastrati nel marmo affinché non intacchino la pulizia formale dell’enorme facciata. È anche un palazzo ad elevato contenuto tecnologico per i materiali utilizzati accanto a marmo e granito, come vetrolux, cemento armato, linoleum. Innovativo per gli impianti e gli apparati e i servizi postali presenti al suo interno come la posta pneumatica e i telegrafi. Anche la soluzione adottata per contenere il calore interno è innovativa: poiché la facciata principale è esposta a sud, si realizza una doppia parete nella cui intercapedine far passare gli impianti. L’autonomia idrica del palazzo è garantita dallo sfruttamento di una falda acquifera scoperta casualmente durante i lavori.
Il design e l’arredo
L’edificio nel suo insieme appare un gigantesco oggetto di design industriale. Tutto l’arredo è disegnato ad hoc: dai calamai agli orologi, alle insegne, i divisori di vetrocemento, i tavoli in marmo rosso, con una maniacale aspirazione alla perfezione. Al Palazzo delle Poste di Napoli il professor Valerio Morone, docente di Architettura e Design all’Università Federico II di Napoli, ha dedicato il libro “La fabbrica dell’innovazione”, realizzato con la collaborazione dell’Archivio Storico di Poste Italiane. In questo testo così coglie lo spirito dell’edificio: La volontà dei progettisti, si è espressa in continuità dall’architettura sino ai più piccoli dettagli di arredo e finiture disegnati dagli stessi progettisti. (…) Proprio per questa integrazione il Palazzo delle Poste di Napoli può essere letto come una vera Fabbrica dell’Innovazione, cui hanno concorso aziende e maestranze espressione della punta avanzata dell’industria italiana che ha contribuito a fare di Napoli uno dei centri propulsori della cultura progettuale italiana ed europea di quegli anni.
La storia del Palazzo e di Napoli
La bellezza dell’edificio è esaltata nelle splendide immagini del collega e fotografo Errico Baldini. Dettagli come l’orologio, che normalmente si vede da una certa distanza, e le abat-jour sui banconi, vengono ripresi in primo piano; l’abat-jour, protagonista della foto, è proiettata nella spazialità della struttura. I punti prospettici scelti dal fotografo creano forme sinuose e armoniche. In questo edificio la storia delle Poste interseca quella della città. Nell’atrio una lapide ricorda alcuni celebri dipendenti delle Poste, fra questi anche la giornalista e scrittrice Matilde Serao, una delle prime donne impiegate alle Poste, ausiliaria telegrafista dal 1874 al 1877 nella vecchia sede a Palazzo Gravina. Nella stessa lapide si ricorda anche l’impiegato delle Poste Giovanni Ermete Gaeta, in arte E. A. Mario, autore della Canzone del Piave e di innumerevoli celebri canzoni. Poco più in là, l’atrio è sovrastato dell’imponente statua di Arturo Martini La vittoria, dedicata ai postelegrafonici caduti durante la Grande Guerra. La nuova sede, oltre a un’immensa sala del telegrafo, a nastri scorrevoli e altre avveniristiche tecnologie, è dotata di sofisticati impianti di posta pneumatica che permettono di far viaggiare velocemente la posta in appositi bussolotti, spinti dall’aria compressa in condutture sotterranee che attraversavano la città. Il Palazzo di Vaccaro e di Franz sopravvive prima ai bombardamenti delle forze alleate, nella seconda guerra mondiale, poi ad un attentato dinamitardo tedesco i cui effetti sono documentati anche da un servizio fotografico di Robert Capa.
“La Vittoria” di Arturo Martini
Le opere d’arte presenti nei Palazzi delle Poste nascono, quantomeno concettualmente, insieme al Palazzo che le deve accogliere. Per il Palazzo delle Poste di Napoli il tema affrontato dallo scultore Arturo Martini è la vittoria italiana della prima guerra mondiale. La statua è espressione di quell’arte monumentale d’avanguardia che privilegia allegorie nazionaliste, ricorrendo alla classica figura femminile, con l’Italia rappresentata spesso come una donna dalle forme marcatamente tondeggianti.
500 quintali di bronzo fuso
In questo caso Vittorio Martini rappresenta l’Italia come una donna a seno nudo che, con le braccia alzate, sembra voler avanzare sventolando il tricolore in segno di gioia per la vittoria nella prima guerra mondiale. Al momento dell’inaugurazione quel seno nudo scandalizzò il Vescovo, invitato per la benedizione di rito. Vi si pose rimedio occultandolo sotto una bandiera italiana. “La Vittoria” con la sua mole di 500 quintali di bronzo fuso, i suoi cinque metri di altezza, è poggiata su una base marmorea di due metri, in granito venato di nero, su cui sono incisi i nomi dei postelegrafonici caduti durante la prima Guerra Mondiale. Protesa in avanti verso chi entra, collocata di fronte all’enorme porta che dà accesso al palazzo, sovrasta chiunque entri nell’edificio.
Avanguardia artistica
L’opera è del 1936, quando Vittorio Martini, nato a Treviso nel 1889, è un artista affermato. Ha imparato a maneggiare la materia andando a bottega presso studi di scultori, lavorando in fabbriche di ceramiche, frequentando la Scuola di ceramica a Faenza. La sua formazione tecnica e artistica si sviluppa poi in Germania, a Monaco nel 1909, e a Parigi nel 1911 dove frequenta i gruppi dell’avanguardia. Proprio a Parigi espone nel 1912 al Salon d’Automne insieme a Boccioni, De Chirico e Modigliani. È del 1920 a Milano la sua prima personale che, presentata dal pittore Carlo Carrà, lo accredita sulla scena artistica. Scomparso a Milano nel 1947, ha lasciato una produzione artistica molto vasta, caratterizzata, da una grande felicità d’invenzione e da una padronanza assoluta dei processi tecnici per la lavorazione concreta della pietra, del bronzo, della ceramica