Adesso la chiamano la “signora Derrick”. Francesca, bellezza mediterranea, capelli castani sciolti sulle spalle e sorriso accattivante, in realtà è il direttore dell’Ufficio Postale di Torremaggiore, Foggia. Ma per smascherare i truffatori che si sono presentati agli sportelli, ha dovuto darsi da fare come un detective della tv, cercare l’errore e trovare la prova. Non è un lavoro così semplice, e ci vuole un allenamento speciale a capire l’inghippo. A volte basta un particolare. Pasquale, 40 anni, direttore dell’Ufficio di Carinaro, Caserta, ha capito che qualcosa non andava da una ruga, solo da una ruga che non c’era, perché la signora che s’era presentata allo sportello con una Postepay Evolution rubata aveva i documenti veri della vittima, e con il volto coperto dalla mascherina e i capelli che avevano lo stesso colore e lo stesso volume, niente poteva far pensare che non fosse lei.
Prudenza
A parte quella ruga sotto agli occhi, che c’era nella foto, e che la signora davanti a loro, molto tranquilla e sicura di sé, non aveva. Ma da quando ti si illumina il dubbio, da questo momento in poi, bisogna stare molto attenti, perché puoi anche sbagliarti e offendere gravemente un tuo cliente, oppure insospettire il ladro e farlo scappare. Occorre muoversi con prudenza e molto tatto.
Il timbro falso
All’inizio per Francesca è stato diverso. Lei aveva la legge dalla sua parte. O meglio, un cavillo, un comma, a cui aggrapparsi. Era venuto questo rumeno, accompagnato da un avvocato, per chiedere una nuova carta del reddito di cittadinanza, quella che serve per ritirare i soldi: la vecchia, che aveva da dicembre, era stata smarrita, forse non restituita dalla macchina per un errore durante un’operazione di prelievo. Ora, la legge dice che gli stranieri hanno diritto al reddito di cittadinanza se sono residenti in Italia da almeno dieci anni. Ma questa verifica e il successivo permesso spettano all’Inps, non alle Poste. “Il nostro ruolo è soltanto quello di consegnare la carta”, spiega. “Però, abbiamo un manuale che certifica anche alcune regole da seguire prima della consegna. Io sono andata a sfogliarmelo, perché questo rumeno accompagnato da un avvocato e che non parlava una parola d’italiano dopo dieci anni che viveva da noi, mi insospettiva un po’. E il manuale dice che per fare regolare richiesta, lo straniero deve presentare l’attestazione di soggiorno permanente. Lui invece aveva soltanto la sua carta d’identità rumena. Così non possiamo darvi la carta, gli dissi. Va bene, torniamo con l’attestato, rispose il legale. Spariscono per un po’ e tornano a un altro sportello ancora senza attestato. Il collega mi chiama e io ribadisco il rifiuto. Ma a dicembre perché ce l’hanno dato senza problemi? protesta l’avvocato. E allora perché non tornate da loro?, li provoco. Loro girano i tacchi e se ne vanno. Tornano qualche giorno dopo con l’attestazione, sottoscritta da Rocco Costa, ufficiale dell’anagrafe. Con tanto di timbro del Comune. Mi accorgo subito però che il documento d’identità, intestato a un tale Dumitru, ha una data di scadenza strana. Io gli dico va bene, aspettate qui che vi do la carta. Mi chiudo nell’ufficio e chiamo l’anagrafe del Comune. Mi risponde il signor Marinelli e mi dice: ‘Non esiste nessun Rocco Costa’. C’è il timbro del Comune, com’è possibile? Scansiono il documento, glielo mando. ‘Il timbro è falso’, mi risponde. Chiamo i carabinieri al volo e mentre li aspetto vado di là a tranquillizzare i due: ‘Abbiate pazienza, c’è un problema tecnico, lo sistemiamo in qualche minuto. L’avvocato mangia la foglia, finge di telefonare e se ne va. Poi sono arrivati i carabinieri e hanno arrestato il rumeno’”.
Il repertorio inesistente
Pochi giorni dopo, Francesca sventa un altro tentativo. Un signore si è presentato con un atto del tribunale di Foggia, in cui si dichiarava che una persona non poteva recarsi in Ufficio a ritirare il reddito di cittadinanza e si nominava un procuratore al suo posto. “Ma Poste Italiane non prevede la procura in questo caso. E poi il logo su quel documento non mi convinceva troppo”. Francesca ha chiamato il Tribunale, appurando subito che il numero di repertorio non esisteva. Poi ha scansionato i fogli, che non avevano la firma di un giudice, ricevendo subito la conferma dei suoi sospetti: “È un falso”. Sei come Derrick, hanno cominciato a ripeterle in ufficio. La nomea è cominciata lì.
Sicurezza e onestà
Anche Pasquale però è stato bravo, a capire tutto da una ruga. “Signora, si può abbassare un attimo la mascherina per favore?”. Solo quando la cliente ha mostrato il suo volto, la differenza è apparsa evidente. “Ma lei non sembra la stessa”, ha insistito Pasquale. “Ho fatto un lifting che mi ha ringiovanito moltissimo”. Sarà stato anche eccezionale il chirurgo, però il direttore ha preferito chiamare i carabinieri. Alla fine, lei ha confessato, con un’ultima, disperata bugia: “Sono la figlia”. Come spiega Pasquale, dopo il Covid “il controllo del territorio è stato demandato a noi ancora più di prima, anche perché le Poste hanno radici profonde nel tessuto del Paese”. A volte per far rispettare la legge non devi guardare in faccia a nessuno, anche a clienti che conosci. Come è successo ad Antonella, direttore di Foggia Centro: “Ma io devo difendere le Poste e chi ci lavora, e facendo così proteggo anche tutti i miei clienti, garantisco loro sicurezza e onestà”. Nel suo Ufficio era venuta una cliente che conoscevano tutti benissimo, titolare di un conto corrente impresa per un pagamento tardivo. “Ma il documento sembrava un po’ sospetto, mancava la marca da bollo e il timbro riportava il nome di un Comune in provincia di Treviso, Tempio di Ormelle”, racconta Antonella. “Sono andata in Ufficio e ho cercato sul web il numero di telefono del Comune. Ma quando li ho chiamati, mi hanno detto che non esiste più quel nome: ‘Ora non siamo più Tempio di Ormelle, ma solo Ormelle, e da tanti anni’. Gli ho letto il nome di chi aveva firmato quel documento e loro non ci hanno messo nemmeno un secondo a rispondere: non esiste nessuno che si chiami così da noi. Allora sono tornata indietro da lei e le ho consegnato tutto con una smorfia. Lei ha capito al volo: ‘Vuoi chiamare i carabinieri?’. Non ho detto niente. ‘Così mi inguai’, ha sussurrato. Ma ho dovuto farlo per forza”.
Occhio clinico
Anche nell’Ufficio di Caserta 1, diretto da Anastasia, il problema è venuto da una cliente molto conosciuta, che si era presentata per un prelievo. Ma la somma richiesta dall’anziana signora e l’urgenza, per una improvvisa necessità di uno dei figli, avevano insospettito gli sportellisti e in particolare il sostituto Dup, Salvatore, che aveva subito cercato di contattare il figlio. Al telefono lui si era infastidito come se credesse a uno scherzo. Solo di fronte all’insistenza di Salvatore, alla fine aveva chiesto al fratello di andare in ufficio a controllare. E quando lui era arrivato, la truffa era apparsa chiara a tutti: nessuno dei figli aveva mai fatto una richiesta di soldi alla madre. La cosa strana è che molte volte queste procedure, questa indispensabile diffidenza, finiscono per infastidire i clienti, come spiega Stefania Manuela, che dirige l’Ufficio di Lucera Centro. Può sembrare che ritardino le operazioni, e creano di sicuro qualche disagio. “È che molte volte ci vediamo giusto. Ci vuole occhio clinico, un allenamento speciale”. E ci si può anche aiutare facendo gruppo. Racconta Stefania Manuela che lei attraverso WhatsApp ha ricevuto la segnalazione da altri uffici di un cittadino rumeno che si presentava con un documento di residenza falso. “Così quando questo è venuto da me per richiedere il reddito di cittadinanza, non ho avuto difficoltà a riconoscerlo e chiamare subito i carabinieri”.
“Personaggi del sottobosco”
Quando c’è una richiesta di soldi è più facile sospettare che dietro possa esserci una truffa. Ma l’inganno e il reato possono nascondersi pure dietro ad altre operazioni. Anche per l’apertura di un semplice libretto bisogna stare attenti con chi si ha a che fare. Federico, direttore di Acerra 3, racconta che “un giorno si è presentato un cliente per l’apertura di un libretto postale. Solo che dalle verifiche sul sistema il suo documento di identità risultava rubato o smarrito. Dovevamo fare dei controlli, capire se era la stessa persona o il ladro, e gli dicemmo che c’era un guasto tecnico e che doveva tornare l’indomani. Facemmo in fretta: la denuncia dello smarrimento era stata fatta a Padova, il documento era di Acerra, ma la firma del sindaco non era quella giusta. Lui tornò tranquillissimo. Io avevo già allertato i carabinieri. Il libretto postale gli doveva servire per fare operazioni non lecite, di riciclaggio e di truffe. C’è un mondo dietro questi personaggi e non è semplice avere a che fare con questo sottobosco”.
Il tunnel di 2 km
E non ci sono solo le truffe da combattere. Mario, direttore a San Marcellino, Caserta, una volta si è trovato di fronte assieme a tutti i suoi colleghi a tre rapinatori, col volto coperto e le pistole in mano, entrati dalla finestrina del bagno poco prima dell’orario di chiusura. “Lì, l’unica cosa è non farsi prendere dal panico”, confessa. Un anno fa, invece, il 24 giugno, l’avevano chiamato spiegandogli che il giorno dopo non avrebbe potuto aprire l’ufficio per motivi tecnici. Poi era arrivata un’altra chiamata, della polizia: doveva venire in ufficio. Avevano arrestato una banda di rapinatori il giorno prima del colpo. “Avevano fatto un tunnel, che arrivava sotto il mio ufficio, un lavoro di ingegneria quasi, due chilometri di un buco sottoterra, che partiva dalle fogne e saliva fino ad affacciarsi al pavimento della mia stanza. Seppi che ci avevano lavorato due mesi. In questo lasso di tempo, noi una volta avevamo visto una persona sospetta e l’avevamo segnalata ai carabinieri. Ma in realtà le indagini della polizia partivano da molto prima. Dopo un colpo alle Poste realizzato anche quello con un tunnel, avevano adocchiato dei sospetti e pedinandoli erano arrivati fino a noi e a scoprire questo tentativo”. Perché ce ne sono tanti come la signora Derrick, che sono bravi a fare i detective.