L’economia circolare in Italia può valere 100 miliardi l’anno

Se venissero adottate pratiche manageriali per l’economia circolare nell’industria italiana si genererebbero al 2030 circa 100 miliardi di euro annui, quasi il 4,5% del PIL nazionale al 2019, stando all’impatto su sei macrosettori chiave. Invece, meno di 1 impresa italiana su 2 ha fatto propria la sfida della circular economy, e ancora non è nemmeno a metà del percorso di trasformazione. Un dato positivo però c’è: per il primo anno, il 44% di aziende virtuose e pioniere supera chiaramente la percentuale degli scettici, che non hanno adottato questi criteri e non intendono farlo in futuro, fermi al 34%.

La rigenerazione del capitale naturale

A dirlo è il Circular Economy Report 2021 dell’Energy&Strategy Group della School of Management del Politecnico di Milano, giunto alla sua seconda edizione, che riporta i dati di una survey condotta su operatori di sei macrosettori rilevanti per l’economia italiana – costruzioni, automotive, impiantistica, food&beverage, elettronica di consumo, mobili e arredo – insieme ad approfondimenti sui temi normativi e su aspetti più tecnici, come i metodi di misurazione dell’economia circolare e i ruolo delle piattaforme digitali negli ecosistemi di business. “L’economia circolare è altra cosa rispetto allo sviluppo sostenibile e alla rispondenza ai criteri Esg, anche se spesso li si confonde – spiega Davide Chiaroni, direttore dell’Osservatorio sulla Circular Economy dell’E&S Group – è un approccio che prevede la rigenerazione del capitale naturale, non la ‘semplice’ limitazione del danno ambientale: si minimizzano le risorse usate, ma senza diminuire la crescita economica e sociale, il progresso tecnico e l’innovazione”.

Una sfida che richiede coraggio

Spesso, nota il rapporto, si riduce il concetto di economia circolare alle pratiche di riciclo e di gestione dei rifiuti. Come nella voce specifica all’interno del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza: 5,27 miliardi di euro di investimenti (che scendono a 2,47 se si tolgono i 2,8 destinati alla sostenibilità della filiera alimentare) che andranno a realizzare nuovi impianti di trattamento dei rifiuti e ad ammodernare quelli esistenti (1,5 miliardi) per raggiungere i nuovi obiettivi previsti dalla normativa europea e nazionale. “È il momento di affrontare la sfida con una più decisa e coraggiosa volontà di azione da parte delle imprese e dei policy maker. Il tema è più diffuso nel settore delle costruzioni, con il 60% del campione che ha introdotto almeno una pratica di economia circolare, seguite da food&beverage (50%), automotive (43%), impiantistica (41%), elettronica di consumo (36%), mobili e arredo (23%): in media, il 44% degli intervistati, poco meno di 1 azienda su 2, mentre il 40% di chi non l’ha ancora fatto ha intenzione di porvi rimedio in futuro”.