Lettere nella storia: Havel, la dignità prima del potere

Il senso della dignità umana è uno dei capisaldi della persona e prima o poi presenta il conto a ogni genere di potere che la calpesti, ignori, manipoli. In questi tempi non felici per i diritti umani – misura del rispetto della dignità umana – la politica troverebbe giovamento dalla rilettura attenta di una celebre lettera dell’8 aprile 1975 scritta a Gustav Husak campione della repressione popolare dopo la Primavera di Praga soffocata dai carri armati dell’Unione Sovietica. Autore di quella Lettera a Husak era Vaclav Havel uno degli intellettuali dissidenti più in vista, sottoposti il più delle volte a ritorsioni, repressioni fino al carcere dai governi comunisti dell’epoca.

La crisi spirituale sovietica

Nella celebre Lettera definita dallo stesso suo autore un “gesto di autoterapia” per resistere alla delusione per la fallita Primavera, Havel analizza il senso della profonda crisi spirituale del suo Paese costretto a subire passivamente un regime repressivo, estraneo e disumano. Il pensare la passività del popolo una garanzia del potere e perciò da alimentare, era invece da considerarsi un errore che alla lunga avrebbe eroso il potere stesso, lasciando macerie nel tessuto sociale. Ogni volta che la politica pensa a sé, alla ideologia del mantenimento del potere più che al benessere del popolo e alla sua cosciente libertà danneggia se stessa e, prima o poi, viene spazzata via.

Le parole di Havel

Si tratta di una Lettera che idealmente interpella i poteri di qualsiasi natura e di ogni epoca. Dunque, sostanzialmente attuale. Proprio a motivo del suo intento pedagogico non dichiarato ma vero per chi esercita il potere in modo assoluto e spietato, puntellandolo sulla paura. Anche se non ne parlano mai, scrive Havel, le persone “hanno una percezione molto acuta del prezzo che hanno dovuto pagare per una pace e una tranquillità esteriori: quel prezzo è l’umiliazione costante della loro dignità di esseri umani. Meno oppongono resistenza diretta – confortandosi scacciando quel pensiero e ingannandosi dicendo che si tratta di cosa di poco conto – più profondamente quell’esperienza si scolpisce nella loro memoria emotiva. Colui che può reagire alle umiliazioni sa rapidamente dimenticarle; ma chi deve sopportarle a lungo dovrà anche ricordarle a lungo. In verità quindi nulla viene dimenticato. Tutta la paura sopportata, l’ipocrisia a cui si è stati costretti, le umiliazioni dolorosi e degradanti e, cosa forse peggiore in assoluto, la sensazione di essersi mostrati vigliacchi: tutto ciò si deposita e accumula da qualche parte sul fondo della nostra coscienza sociale, e silenziosamente fermenta. È chiaro che non si tratta di una condizione sana. Lasciati a se stessi gli ascessi vanno in suppurazione; il pus non può fuoriuscire dal corpo e la malattia si diffonde nell’organismo. Le normali emozioni umane […] gradualmente si trasformano in un crampo nocivo, in una sostanza tossica non dissimile dal monossido di carbonio prodotto da una combustione incompleta”.

La via più pericolosa per la società

Non c’è quindi di meravigliarsi – aggiunge Havel – che “quando la crosta si spacca e la lava della vita sgorga fuori appaiono non soltanto i giusti tentativi di correggere i vecchi torti, non soltanto la ricerca della verità e di riforme che vengono incontro alle esigenze della vita, ma anche sintomi di odio bilioso, ira vendicativa e febbrile desiderio di immediata soddisfazione per tutte le degradazioni sopportate”. Nella società ci sono opposte tendenze ma dipende da chi governa: “quali di queste opposte tendenze dormienti nella società saranno risvegliate…Finora è il peggio che c’è in noi ad essere sistematicamente attivato e amplificato: egoismo, ipocrisia, indifferenza codardia, paura, rassegnazione, e il desiderio di rifuggire qualsiasi responsabilità personale, quali che siano le conseguenze generali”. Eppure perfino oggi, la leadership nazionale ha “l’occasione di influenzare la società con le sue politiche in modo da incoraggiare non il lato peggiore di noi, ma quello migliore”. Havel imputa a Husak e al suo governo di aver scelto la via più pericolosa per la società: “il sentiero del declino interiore per il bene delle apparenze esterne; il sentiero della sopportazione della vita per il bene di una sempre maggiore omologazione; quello del peggioramento della crisi morale e spirituale della nostra società degradando incessantemente la dignità umana per il meschino vantaggio della salvaguardia del vostro potere personale”. Invece potrebbe seguirsi una strada “più difficile e meno gratificante” ma funzionale al bene comune della società e si rivelerebbe di gran lunga più importante. Di Havel sono note anche le sue Lettere a Olga, moglie alla quale scrisse negli anni dal carcere tra il 1979 e il 1983. Ma la Lettera a Husak resta insuperato monito al potere.