Pino Strabioli: “Poste in provincia: servizi e il piacere del contatto umano”

Pino Strabioli: autore, regista, attore, conduttore e cultore dei grandi protagonisti dello spettacolo del secolo passato. Da alcune stagioni è direttore artistico del Teatro Mancinelli e di Orvieto Sound Festival.

Ti dividi tra Roma e l’Umbria, dove è il tuo cuore?

“Faccio tutte queste cose, forse troppe, perché ho il demone della curiosità. Il mio cuore è esattamente a metà. Sono figlio di padre dei Castelli e di madre romana, ci siamo trasferiti a Orvieto quando ero piccolo perché mio padre era militare, quindi Orvieto è la mia città di adozione. Lì ho fatto le elementari, le medie e il liceo. A Roma c’è l’altra mia metà”.

Vivere in un Comune della provincia, per quanto di rara bellezza e ricchezza artistica, è un limite o un valore?

“La provincia per me è stata la grande spinta. In provincia attivi di più la fantasia, accendi i sogni. Se sei forte e hai coraggio, la provincia è un trampolino. Poi nel vivere quotidiano è bellissima. Ti senti coccolato, riconosciuto. Certo, qualche volta, quando hai voglia di anonimato, ti schiaccia. Io ho avuto la fortuna di vivere Orvieto da bambino avendo però sempre i nonni a Roma. Oggi considero una grande fortuna dirigere il teatro che mi ha fatto innamorare di questo mestiere. Penso a quando da ragazzo vedevo a teatro Rossella Falck, Umberto Orsini, Gabriele Lavia: erano delle apparizioni, certo il giorno dopo non li avrei incontrati. In provincia le cose da conquistare le devi cercare altrove. Devi sviluppare nella tua testa l’altrove. È una grande forza se la sai vivere”.

Le Poste hanno avviato un grande progetto con il Pnrr proprio per potenziare i servizi nei piccoli Comuni. Cosa chiederesti per la tua Orvieto?

“Le Poste fanno parte del mio immaginario. Intanto ad Orvieto le Poste sono accanto all’ingresso del teatro, dove entrano le scenografie. Attaccate al teatro nella piazzetta principale. Essendo io residente a Orvieto per me le Poste sono il terrore delle raccomandate quando mi arrivano, ma anche il piacere del contatto umano. Mi ricordo che da bambino ero incantato dal lavoro dell’impiegato soprattutto per l’uso del timbro. Lo osservavo e poi, a casa, ripetevo i suoi movimenti e diventavo postino. Le Poste per me sono il viaggio e i carteggi. Io sono appassionato di epistolari. Noi non scriviamo più lettere, non lecchiamo i francobolli, sarebbe bello che negli uffici postali organizzassimo degli spettacoli per rileggere quelle meravigliose lettere d’amore, di rabbia o di guerra spedite durante il Novecento. Sarebbe bello”.

In una recente intervista hai detto che, pur essendo tu un eclettico dal punto di vista artistico, il tuo cuore batte per il teatro, ossia il teatro ti fa battere forte il cuore. Perché?

“Perché il teatro è l’arte più antica, più del cinema, della tv e della radio. L’ho scelto anche se venivo da una famiglia completamente lontana da qualsiasi tradizione artistica. Perché l’emozione, e in qualche modo l’onnipotenza, che ti dà il teatro è unica. Sembra un paradosso ma invece è vero. Quando sei in palcoscenico non sei tu che decidi come va a finire la storia. Essendo nella vita un po’ pauroso apprezzo il fatto che in palcoscenico conosci la fine, l’inizio, la storia che però ogni volta si rinnova con il pubblico che ti viene a vedere. È uno spazio dove ti senti libero. Franca Valeri, che ho avuto l’onore di frequentare e con la quale ho avuto l’onore di condividere il palco, diceva che “il teatro ti fa sentire a casa”. Se con la tv sei ospite, in teatro sono le persone che vengono a trovare te. E questo è bellissimo, vedere che qualcuno viene a trovarti per ascoltarti e stare con te”.

Vivere le vite degli altri?

“Sì, tante vite di cui conosci le storie perché conosci il tuo personaggio e questo ti dà sicurezza, è una corazza”.

Tra le tante tue caratteristiche professionali c’è quella di entrare con garbo nelle vite e nelle case degli altri.

“Entrare nelle vite degli altri è una mia precocissima voglia. Ho iniziato a scrivere negli anni Ottanta per l’Unità proprio per andare a conoscere le vite degli attori, bussavo ai camerini e parlavo con loro. Poi alcuni sono diventati amici e con qualcuno ci ho addirittura lavorato. Sono un appassionato dell’esistenza. Delle vite, delle costruzioni delle vite. Sono un po’ un antropologo. Sono nostalgico del Novecento e ho sempre amato il racconto, amo raccontare ma amo anche molto ascoltare. Mi piacciono le biografie, attraverso la vita degli altri riesci a capire anche qualcosa di te. La gentilezza e il garbo mi appartengono in modo naturale, credo molto nella forza della gentilezza che è quella che ti rende più robusto”.

Hai avuto la fortuna e la capacità di collaborare con personaggi che rimarranno nella storia, personaggi speciali. Da Franca Valeri a Paolo Poli, da Gabriella Ferri a Maurizio Costanzo… ci sono dei tratti in comune tra loro?

“Mi piacciono tutti, e ogni persona ha una storia a sé. Con Paolo Poli ho anche scritto un libro – “Sempre fiori mai un fioraio”, edito da Rizzoli – che poi è diventato uno spettacolo teatrale che sto portando in giro per l’Italia, ci ho fatto anche 8 puntate per la televisione. Lasciai “Uno Mattina” proprio per andare con Poli a fare i “Viaggi di Gulliver”. Le persone che abbiamo citato hanno storie meravigliose. Paolo Poli, nato nel 1929, omosessuale, ha inventato una forma di teatro unica, quella en travestì. Franca Valeri, signora borghese milanese, nata nel 1920, con una grande intelligenza, è stata forse la più grande autrice che abbiamo avuto nel Novecento. Costanzo ha inventato il talk-show ed è la televisione italiana. Ha conosciuto Flaiano, Totò, Anna Magnani, Vanda Osiris. Insieme stiamo preparando un altro ciclo di puntate e ritrovare con lui le persone che avrei voluto conoscere: è una cosa bellissima”.

(I.L.)