Lettere nella storia: Ungaretti e le parole nelle trincee

C’è una poesia simile a un pugno nello stomaco, spuntata in montagna nelle condizioni proibitive della Prima Guerra Mondiale. L’ha scritta Giuseppe Ungaretti che quella situazione di morte l’ha respirata nelle trincee fino a non poter dormire risucchiato nella “Veglia”. “Un’intera nottata/buttato vicino/a un compagno/massacrato/con la sua bocca/digrignata/volta al plenilunio/con la congestione/delle sue mani/ penetrata/nel mio silenzio/ho scritto/lettere piene d’amore/. Non sono mai stato/tanto/attaccato alla vita”.

La tragedia di Cutro e le parole di Ungaretti

Turbamento e parole che possono trasferirsi sul lido di Cutro dove la furia del mare ha spiaggiato poco meno di cento immigrati per lo più donne e bambini. Le onde imperiose hanno spezzato il loro barchino e nella notte si è perso il loro grido. La reazione impietrita del soldato Ungaretti alla sfida sfrontata della morte rimane un ottimo consiglio anche di fronte a questa tragedia dell’indifferenza, vero seme velenoso dell’insipienza che impedisce la pratica ordinaria di norme civili ed efficienti per l’accoglienza degli immigrati. Reagisce il poeta: “Ho scritto/lettere piene d’amore”. Di rabbia, nelle disgrazie, se ne respira tanta, di amore poco. Nelle lettere scritte da sopravvissuti, parenti, generici osservatori in occasioni di naufragi – vere enciclopedie di contrastanti sentimenti – si rivelano le tante trame che agitano il cuore umano di fronte ai micidiali blitz della morte. Il gelo esistenziale provato da Ungaretti accanto al cadavere di un compagno diventato pietra e fango al tacer del cannone, cala su chiunque si trovi nel vortice di naufragio collettivo quando il mare in rivolta si placa e tanti compagni galleggiano sfigurati sull’acqua. La natura sconvolta appare irridente delle vanterie umane; capita che si muoia sul barchino dei poveri disperati come sul Titanic, superbo esemplare della tecnologia pensata inaffondabile. Le lettere che accompagnano il disappunto sociale, il rimpianto e l’ira per l’accaduto sono simili, perché è l’uomo che affoga a sentirsi tremendamente solo. Sopravvissuti e scampati, vicini e lontani, si sentono vulnerabili. Non sapremo quanti naufraghi abbiano provato un brivido analogo a quello di Ungaretti. Mare o montagna, guerra o miseria, in comune denunciano il brivido di morte con la precarietà della vita umana. Cambia soltanto la cornice. In Ungaretti nasce un sentimento positivo: “Nel mio silenzio ho scritto lettere piene d’amore. Non mi sono mai sentito tanto attaccato alla vita”.

La toccante lettera di una 11enne

Un poeta è in grado di scrivere questi versi, ma si trova un’assonanza esistenziale con quanto può scrivere nella lettera una bambina di 11 anni scampata al naufragio nel 2015, uno dei tanti ricorrenti nel mediterraneo, divenuto il più grande cimitero a cielo aperto. “Vengo dalla Gambia e ho attraversato il mare per venire in Italia. Molte persone sono morte, i miei migliori amici, mia sorella e mio fratello sono morti tra le onde per venire in Italia”.

Il Titanic, le casse di vino e la Costa Concordia

Di recente è venuta alla luce una lettera commerciale di scuse inviata il 16 aprile 1912 dalla Star White Line alla Berry Bors & Rudd per le 69 casse di vino finite sul fondo dell’oceano insieme al Titanic e a 1500 vittime imbarcate. “Gentili signori, riferendoci alla vostra spedizione da questo piroscafo, è con grande dispiacere che dobbiamo informarvi che il Titanic è affondato alle 2.20 del 15° giorno, dopo essersi scontrato con un iceberg, ed è una perdita totale. I dettagli della spedizione sono mostrati in fondo alla lettera. Distinti saluti, la White Star Line”. Gratitudine per la solidarietà spicca pure nelle lettere dei salvati nella incredibile tragedia della Costa Concordia, indirizzate agli abitanti soccorritori dell’Isola del Giglio. “Ciao io sono francese e mi chiamo Sebastien, il mio amico si chiama Mehdi. Volevamo ringraziarvi per averci ricevuto sulla vostra isola durante quella tragica notte del naufragio della Costa Concordia; siamo sopravvissuti ma il nostro trauma c’è ancora e rimarrà fino alla fine della nostra vita”. “Non avremmo mai immaginato che la nostra visita – scrive una signora – sarebbe finita in un tale trauma e tragedia! … Finché vivremo, saremo veramente grati alla vostra comunità per gli sforzi di soccorso incondizionato, cura e compassione che sono stati dati a noi, agli altri passeggeri e all’equipaggio della Costa Concordia nella notte devastante del 13/14 gennaio 2012. Non dimenticheremo mai il calore e l’empatia che ha dimostrato ciascun ‘isolano’.  “Ciao, io non parlo italiano, – scrive Michel – ma volevo ringraziarvi per il vostro aiuto, per averci accolti, riscaldati, confortati. Grazie a tutti gli abitanti dell’isola… In Francia, pensiamo a tutti voi e diciamo: Viva gli italiani, Viva l’Italia”.