Presente il Capo dello Stato Mattarella e con una prolusione del cardinale Zuppi, presidente dei vescovi italiani è stato ricordato l’80° anniversario del Codice di Camaldoli. Sconosciuto al grande pubblico, alla luce della storia il Codice Camaldoli va considerato una “vera impresa culturale” un prototipo d’impegno democratico che influì sulla Carta costituzionale della Repubblica italiana. Camaldoli è un’abbazia nella provincia di Arezzo dove nel 1943 un folto gruppo di giovani e meno giovani intellettuali cattolici scelti per competenza in discipline giuridiche, economiche, storiche, filosofiche, teologiche, politiche e tecniche, mentre il fascismo agonizzava, lavorò alacremente a un documento base orientativo del sistema democratico alle porte.
La lettera da Camaldoli
La vicenda della redazione del Codice è, ormai, ricostruita fin nei particolari, grazie anche alla pubblicazione dell’ampia corrispondenza tra gli attori di quella stagione irripetibile. All’epoca non esistevano telefonini e computer. La lettera risultò lo strumento duttile e pratico di una vera e propria rete di comunicazione per affrettare, nel metodo e nei contenuti, la redazione del documento. Opera non facile né scontata come si potrebbe pensare dal comune richiamo alla dottrina sociale cristiana che accomunava quei militanti. Le lettere rivelano una collaborazione tra loro non formale e neppure scontata, ma riuscita grazie a un paziente lavoro di cesello e di raccordo operata da alcune figure – come Sergio Paronetto e Vittorino Veronesi – più direttamente responsabili nella redazione. Il Codice di Camaldoli rappresentò la spinta propulsiva originaria per una politica ispirata da una visione umanista, competente e responsabile dove la coerenza tra coscienza e politica promosse il bene comune.
Un lavoro certosino
Quando questa spinta si appannò fino a esaurirsi, venne meno – com’è noto – la prima Repubblica. I numerosi carteggi intercorsi nel lavoro sotto copertura (non si dimentichi che la fucina delle idee liberali e democratiche operava sotto il fascismo e in tempo di guerra) menzionano un ruolo speciale di segreteria svolto da una donna: Maria Luisa Paronetto Valier. Fu capace di restare nell’ombra nonostante contò enormemente con la sua duttilità e disponibilità a rasserenare, appianare, spingere, ricordare. La redazione del Codice richiese un paziente lavoro di cucitura tra i tanti ingegni coinvolti. Potrebbe anzi considerarsi una vera palestra di collaborazione tra diversi. E’ stata proprio Maria Luisa nei decenni successivi a certificarlo. “Non esistono solo i tecnici a questo mondo – scrisse a proposito di metodo collaborativo Sergio Paronetto, in una lettera al direttore di Studium -. Ed è proprio la consapevolezza di questa verità che si deve, prima di tutto, chiedere ai tecnici, oggi. Onde quel tanto di scetticismo o di pessimismo che comporta il mettere l’accento sulla difficoltà del loro compito, può e deve essere superato e vinto anzitutto da un loro atteggiamento di umiltà. “L’umiltà dei tecnici”: suggestivo – aggiungeva – tema di meditazione per un cristiano, per il quale l’umiltà è il fondamento e la custodia di tutte le virtù, anche di quelle più legate all’azione, anche delle virtù sociali. Si scoprirà così che l’umiltà è anche la matrice inderogabile di un altro atteggiamento, che alla forma mentis dei tecnici appare molto più concreto, molto più “efficiente”, molto più “produttivo” per raggiungere la tanto auspicata sutura fra tecnica e cultura: vogliamo dire lo spirito di collaborazione.
Un documento olistico
Collaborazione, in questo caso, fra uomini della tecnica e uomini della cultura, fra professionisti e moralisti: collaborazione per la quale ciascuno faccia di volta in volta scolaro e maestro, ponitore e solvitore di problemi, interrogato e interrogante. In un’era di organizzazione come la nostra non dovrebbe essere impossibile “organizzare”, su queste basi una più intima e operante collaborazione fra tecnica e cultura e, dopo aver conquistato la identificazione fra spirito di collaborazione e senso della cristiana fraternità, sublimarla poi, al vertice delle più alte conquiste umane, in un più vitale, coraggioso, e – Dio volesse – da entrambe le parti appassionato contatto fra tecnica e teologia”. Il Codice fu pronto al momento della liberazione di Roma. Il suo contenuto servì da base di riflessione per quei politici cattolici che nel 1946 furono chiamati a sedere tra i banchi dell’Assemblea costituente nella quale venne creata una Commissione di 75 membri con il compito di redigere un progetto di Costituzione. In tale Commissione, poi, operarono da protagonisti giuristi cattolici quali Dossetti, Moro, Fanfani, la Pira, Mortati noti come “professorini” che avevano già collaborato al Codice di Camaldoli e poi coprirono ruoli di primo piano nella Repubblica. Lo squarcio di una lettera di Paronetto a Angelo Saraceno riassume il laboratorio “Codice”: “La tua lettera è stata come un’ondata di acqua fresca sulla mia testa cogitabonda ed ingombra delle più complicate elucubrazioni. Tu, infatti, non hai l’idea di come sia macchinoso questo ambiente romano e di come molto spesso venga la voglia di piantare baracca e burattini e occuparsi di fioricoltura e di giardinaggio. E invece sentire che gente come te capisce ed apprezza, serve molto bene a tirare avanti”.