La prima mostra di un artista cubano in Vaticano ha una storia punteggiata dal ruolo facilitatore svolto dalla corrispondenza. L’andamento del progetto si comprende meglio ricordando alcune lettere, brevi ma eloquenti, tra l’artista e le autorità ecclesiastiche del singolarissimo Stato che custodisce i tesori dei Musei Vaticani. Ma nella vicenda della mostra di Alexis Leyva Machado Kcho – noto più semplicemente come Kcho – uno dei maggiori pittori viventi di Cuba, non è stata la fama dei tesori d’arte vaticani, bensì alcune lettere, a consentire di realizzare un progetto del tutto inedito e agli inizi imprevedibile. La mostra esposta nel prestigioso Palazzo della Cancelleria è stata un segno di disponibilità al dialogo e alla comprensione di messaggi che rendono migliore la vita entro le vicende convulse e divisive che sembrano attualmente prevalere nei rapporti internazionali. Questa storia dimostra che l’ascolto tra diversi, la reciproca conoscenza, giova alla giustizia e alla pace, più del ricorso al conflitto.
Il tema dei migranti
Raccontare il singolare evento artistico merita, anche perché un motivo determinante per la sua riuscita nella prima e nella seconda edizione, è stato il tema illustrato da Kcho nelle sue tele e nei suoi disegni: il fenomeno migratorio. Argomento divisivo nell’Occidente, ma di forte impatto nella sua dimensione mondiale, è rappresentato da Kcho nel carico di dolore e di morte che porta con sé quando le speranze di vita si affidano al mare, sia esso dei Caraibi o Mediterraneo e il mare diventa tomba delle speranze dei poveri, mentre gran parte del mondo resta a guardare tra l’indifferenza e il respingimento. I migranti sono tema primario del magistero sociale di papa Francesco, l’autorità morale più impegnata sul pianeta all’accoglienza e all’applicazione dei diritti in materia di emigrazione. All’origine dell’esposizione, realizzata dalla solerzia dell’Ambasciata di Cuba presso la Santa Sede e, ancor prima, dalla competenza sulla pittura cubana del gallerista e curatore padovano Eriberto Bettini, c’è una consonanza tra Kcho e il papa sul tema migratorio e della sua urgenza di trovare ascolto nelle sedi internazionali. Consonanza rivelata in una lettera al pontefice maturata dall’artista seduto a un bar di Roma con in testa pensieri solidali in attesa di tradursi in linguaggio pittorico.
La corrispondenza con Francesco
Il “galeotto fu il libro e chi lo scrisse” di dantesca memoria, potrebbe evocarsi per valutare l’efficacia epistolare determinante tra Kcho e Francesco. Scrive Kcho: “Sono figlio di un popolo illuminato dal sole e dal mare dell’isola della nostra patrona Carità del Cobre, nostra splendida isola di Cuba. Sono figlio della Rivoluzione degli umili e dagli umili liberata da Fidel. In questo momento che le scrivo questa lettera, mi assiste il mio popolo e la nostra spiritualità e fede che un mondo migliore è possibile e necessario. Grazie per la sua passione nell’aiutare e guidare l’uomo moderno nella sua Via Crucis. Che Dio lo accompagni nella sua missione pastorale per salvare l’umanità dall’oscurità”. Quasi un mese dopo, quando la Mostra stava per chiudersi con successo, il papa rispondeva a Kcho: “Stimato Signor Alexis Leyva Machado, ho ricevuto e gradito la sua cortese lettera, così come gli apprezzati disegni autografi e il catalogo della sua opera ‘Via Crucis’. La ringrazio cordialmente di questo amabile gesto e dei sentimenti deferenti che lo hanno motivato. Che Gesù Cristo ‘la luce vera che illumina ogni uomo’ (Gv.1,9), ravvivi nel nostro cuore la fiamma della fede, della speranza e della carità. Le chiedo, per favore, di pregare per me. Che Gesù la benedica e la Vergine Santa lo assista. Cordialmente. Francesco”.
Nuove versioni del mondo
Uno scambio di lettere tra l’ambasciatore di Cuba presso la Santa Sede e il cardinale Gianfranco Ravasi prefetto del Pontificio Consiglio per la Cultura otteneva per la Mostra il Patrocinio del Dicastero. “Ho ricevuto la sua lettera – era la risposta di Ravasi all’ambasciatore Rodney Lopez Clemente – con la quale mi presentava l’artista Kcho, noto per la sua creazione di opere basate su forme di imbarcazioni, spesso realizzate con materiali riciclati o adattati che fonde nella sua arte l’iconografia agli elementi della vita quotidiana di Cuba. Possiamo dire che si presenta come un pittore illuminato dal sole, ispirato dal mare e dalla sua amata isola”. La Via Crucis – 29 pezzi tra pitture, disegni, sculture e attrezzature, inclusa una grande croce di remi – fu esposta nel medesimo luogo nel quale gli inquisitori giudicarono Galileo Galilei. Lo scorso novembre, presentando nella Sala del Vasari una rinnovata edizione della mostra di Kcho sul tema dei migranti, il critico d’arte Luciano Caprile ha sostenuto che la mostra traduce in pittura l’invito di Francesco agli artisti a “sognare nuove versioni del mondo”. Mentre nel 2014 le immagini riguardavano gli approdi a Lampedusa, ora prevale il sogno – da alimentare dentro ciascuno – di un nuovo mondo “fatto di partecipazione e di accoglienza”.