Roma, 29 mar – Le piccole e medie imprese del Mezzogiorno sono a un punto di svolta. Il trend di crescita riscontrato nel 2017 inizia a mostrare segnali di rallentamento e i risultati evidenziano prospettive incerte per i prossimi mesi. I pezzi di tessuto imprenditoriale andati perduti con la crisi faticano a ricomporsi. Per tornare a correre e arginare il peggioramento in vista, le sfide decisive per le Pmi sono l’apertura del capitale, della governance e l’internazionalizzazione e il conseguente salto dimensionale.

E’ quanto sottolinea il quinto rapporto sulle Pmi del Sud curato da Confindustria e Cerved con la collaborazione di Srm (Studi e ricerche per il Mezzogiorno), che restituisce una fotografia in chiaroscuro delle quasi 30 mila piccole e medie aziende di capitali meridionali comprese tra 10 e 250 addetti. Da sole vantano oltre 136 miliardi di euro di fatturato e un valore aggiunto di quasi 32 miliardi di euro, pari a circa il 10% del Pil del Sud.

Fino al 2017, per il quinto anno consecutivo c’è stato un andamento positivo del fatturato (+4,4%) e del valore aggiunto (+3,5%), non molto lontano da quello delle Pmi del resto del Paese. Ma al tempo stesso emergono anche segnali negativi come l’ulteriore frenata della redditività lorda, con i margini che crescono solo dello 0,5% e un indebitamento sostanzialmente fermo (+0,4%). Segno che per numerose imprese l’accesso al credito resta difficoltoso, nonostante l’ampia liquidità a tassi accessibili ancora disponibile. Sembra che il peso delle diseconomie interne ed esterne all’impresa meridionale, già evidente negli anni precedenti, ne abbia ulteriormente appesantito la corsa.

A pesare sulla competitività delle imprese meridionali è un costo del lavoro che nel 2017 è tornato a crescere più del valore aggiunto, portando il Clup al 69,8% anche per effetto di un significativo incremento degli addetti (85 mila in più pari al +10%), portando gli occupati nelle Pmi meridionali nel complesso a 742 mila, di cui il 58% impiegato in piccole imprese. Continua il trend di miglioramento dell’affidabilità finanziaria, iniziato nel 2012. La crescita, rispetto al 2007, di oltre 39 punti percentuali del capitale netto migliora la sostenibilità finanziaria delle Pmi, riducendo il peso dei debiti finanziari.
Le Pmi del Mezzogiorno hanno continuato a beneficiare dei bassi tassi di interesse: il rapporto tra oneri finanziari e Mol ha toccato nuovi minimi nel 2017 (12,1%). La maggiore sostenibilità dei costi si riflette sul miglioramento dell’affidabilità creditizia. A dicembre 2018, crescono le Pmi meridionali in area di sicurezza e solvibilità, calano quelle più vulnerabili, mentre la fetta di imprese più rischiose si mantiene stabile, come stabile è il gap con la media nazionale: solo la metà delle Pmi meridionali ha, infatti, uno score sicuro o solvibile, contro i 2/3 della media nazionale.

Proprio i movimenti dello score indicano un possibile rischio di frenata di questo trend di miglioramento: a partire da fine 2018, per la prima volta dopo il picco della crisi, le Pmi che vedono peggiorare il proprio merito di credito stanno tornando a crescere, mentre calano quelle che lo migliorano.

Il principale problema del tessuto industriale al Sud si conferma la sua rarefazione. Sebbene il loro numero continui lentamente a risalire, manca ancora all’appello il 18% delle Pmi industriali attive nel 2007. I risultati delle Pmi meridionali sembrano dunque aver raggiunto un punto critico. Pur configurandosi un sistema imprenditoriale più solido fino a tutto il 2017, a partire dal 2018 il quadro congiunturale mostra segnali di frenata, rendendo più urgente intervenire sui fattori strutturali di debolezza: la dimensione, la governance e la propensione all’esportazione delle Pmi meridionali.

L’apertura e la crescita dimensionale potrebbero dare alle Pmi meridionali energie nuove per affrontare la sfida decisiva: quella dei mercati internazionali. Su un totale di 30 mila Pmi, quelle a forte vocazione internazionale sono ancora troppo poche, solo 2.500, l’8,7% del totale (il 20,7% in Italia). Imprese più solide, più aperte e più internazionalizzate possono affrontare meglio una congiuntura che non si annuncia facile.