Roma, 11 apr – Nella struttura produttiva italiana il settore delle costruzioni ha un ruolo molto significativo: genera un valore aggiunto pari a 65 miliardi di euro (il 5 per cento del totale nazionale), occupa 1,4 milioni di persone (il 6 per cento) ed è costituito da un tessuto produttivo di circa 500mila imprese (11 per cento del totale).
Inoltre, il comparto edile – è l’analisi del Centro Studi di Confindustria – si trova al centro di una lunga filiera, che comprende vari settori manifatturieri e dei servizi. Tra i primi: produzione di minerali non metalliferi, prodotti in legno, prodotti in metallo. Tra i secondi: il settore dell’intermediazione immobiliare (circa 300mila addetti e quasi 250 mila aziende) e le attività degli studi di ingegneria e architettura. Tenendo conto degli effetti diretti e indiretti che generano nella filiera produttiva, le costruzioni attivano un valore aggiunto quasi doppio rispetto a quello prodotto dal settore propriamente detto.
Gli investimenti in costruzioni nel 2017 erano pari a
circa il 45 per cento della spesa totale in capitale fisso in Italia (130 miliardi di euro, su 290; pari all’8 per cento del Pil). Una quota molto inferiore rispetto a quella di dieci anni prima (54 per cento). Nel decennio il calo degli investimenti in costruzioni è stato più marcato rispetto a quello registrato nelle altre tipologie, soprattutto per la forte diminuzione dei prezzi delle abitazioni e delle compravendite. Il calo degli investimenti in costruzioni è costato al Pil italiano circa 2 punti sui 9 persi dal 2007 al 20131 ; nello stesso periodo, infatti, la spesa in costruzioni è diminuita di un terzo.
Il calo è dovuto specialmente all’inaridirsi degli investimenti pubblici in costruzioni, compressi dalla necessità di contenere la spesa pubblica. Il trend al ribasso si era interrotto solo nel 2015; ma è ripreso in misura più rapida nei successivi due anni, portando i livelli su valori inferiori di quasi il 50 per cento rispetto al 2007.
Gli investimenti privati in costruzioni, invece, hanno registrato un lento e graduale recupero negli ultimi due anni (circa il 7 per cento). A tale ripresa hanno contribuito sia la risalita dei prezzi delle case (in un contesto di tassi ai minimi storici) sia, soprattutto, le manutenzioni straordinarie di immobili già esistenti e gli interventi per migliorare l’efficienza energetica delle abitazioni. Entrambi gli interventi sono sostenuti da detrazioni fiscali.
La ripresa dei lavori nei cantieri fermi potrebbe dare un buon impulso all’attività edile. Vi sono diverse stime sull’ammontare di opere pubbliche cantierabili ma bloccate per le più svariate ragioni. L’Associazione Nazionale Costruttori Edili ha, ad esempio, stimato che in Italia ci sono circa 600 cantieri di investimenti pubblici fermi per ragioni burocratiche, per un valore complessivo di circa 30 miliardi di euro (escludendo la Tav). In un contesto economico molto debole, riaprire i cantieri potrebbe avere un forte impatto espansivo, aumentando il PIL di oltre l’1 per cento cumulato in tre anni rispetto a uno scenario previsivo di base, incrementando il numero di occupati di circa 260mila unità, accrescendo il rapporto deficit/Pil solo dello 0,1 per cento alla fine del periodo.