Angelo Iannelli

Il Clark Kent italiano non lavora in un quotidiano di Metropolis ma alle Poste di Marigliano, alle porte di Napoli. Si chiama Angelo e il suo superpotere è quello di mettere di buonumore chiunque s’imbatta in lui. Indossa un costume: ma scordatevi il blu e il rosso del personaggio creato negli anni Trenta da Jerry Siegel e Joe Shuster; questo Superman nostrano, che si è guadagnato sul campo il titolo di “Ambasciatore del sorriso”, prima di entrare in azione mette la candida veste di una delle più amate maschere della commedia dell’arte, attiva, e non sui fumetti, da almeno mezzo millennio prima di quella a stelle e strisce. Iannelli, infatti, alla bisogna si trasforma in Pulcinella. Anche se a vederlo verrebbe da dire che sia Pulcinella a materializzarsi e a prendere in prestito il corpo e la voce di questo guitto quasi 50enne che nasce come poeta e che ha firmato diverse opere teatrali, libri d’impegno civile, corti e lungometraggi.

Un sorriso per chi soffre
Più che un’interpretazione, si ha in effetti l’impressione di assistere a una specie di osmosi tra attore e personaggio: “È qualcosa che dopo tutti questi anni non finisce di stupirmi – racconta – la forza che viene trasmessa da questa maschera. È come se grazie a lei, sulla scena, riuscissi a fare cose – gesti, movimenti, salti e capriole – che altrimenti non mi apparterrebbero, di cui probabilmente non sarei capace”. Soprattutto quello di Iannelli è un Pulcinella fortemente impegnato nel sociale. “Appena stacco dall’Ufficio – racconta – corro in soccorso di chi ha bisogno di un sorriso. Proprio come Superman – mima con la mano l’atto del volo – solo che io non posso cambiarmi in una cabina telefonica: anche perché non ce ne sono più”. Ormai, Iannelli è avvezzo a vestirsi nei luoghi più disparati: tanto negli ultraccessoriati camerini dei teatri di prosa quanto nei bugigattoli d’ospedale. Proprio nei luoghi di cura, del resto, si svolge forse la parte della sua attività, rigorosamente volontaria, che più gli sta a cuore: “È tutto qui. Davvero – spiega – Il fulcro, la chiave di volta. Regalare un sorriso a chi proprio non avrebbe ragione di sorridere. Parlo dei bambini, dei ragazzi affetti da gravi patologie, dai quali mi reco con assiduità nei nosocomi di città e provincia. Parlo dei diversamente abili ma anche degli anziani e di chi si trova in condizione di disagio. È per loro, credo, che Pulcinella sia nato, è a loro che primariamente deve rivolgersi, parlare”.