Francesco Giorgino

“Dopo aver celebrato la cultura del superuomo abbiamo constatato che l’uomo non può bastare a se stesso. E abbiamo riscoperto il valore dell’essenzialità delle cose, un elemento che prima del Covid-19 veniva percepito come negativo. Le imprese oggi non possono prescindere da questo tipo di analisi socioculturale”. Il suo volto e la sua voce entrano ogni sera nelle case degli italiani dalla “porta principale” di Rai1. Ma Francesco Giorgino, oltre a essere conduttore e caporedattore del Tg1, è anche docente e fine studioso dei meccanismi della comunicazione. All’Università Luiss di Roma, l’anchorman Rai insegna Content Marketing & Brand Storytelling, un corso che guarda da vicino all’evoluzione della comunicazione d’impresa. Non solo: è direttore del Master Luiss in Comunicazione e Marketing politico e istituzionale. Durante il lockdown della primavera scorsa, il professor Giorgino ha analizzato per l’Associazione Italiana di Sociologia gli spot delle grandi aziende e il loro ruolo nella gestione di un’emergenza che ha riguardato tutti i cittadini-clienti.

Nell’articolo “La pubblicità al tempo del coronavirus” hai osservato come nel periodo d’emergenza i meccanismi di identificazione attivati dagli spot abbiano avuto lo scopo di costruire un modello di “socialità altra” nella comune speranza, per aziende e consumatori, di un veloce ripristino della normalità. Pensi che questo intento sia stato raggiunto?
“La comunicazione è stata influenzata da due aspetti semantici. All’inizio dell’emergenza, ci siamo concentrati esclusivamente sulla pandemia facendo ricorso a un lessico medicalizzato, senza capire che ci trovavamo davanti a una situazione molto più articolata, a un ‘fatto sociale totale’ per usare una definizione del sociologo Marcel Mauss, che andava cioè analizzato ben oltre la dimensione sanitaria. Il secondo è relativo all’uso dell’espressione ‘distanziamento sociale’. Il lockdown ha richiesto un distanziamento fisico interpersonale, mai un distanziamento sociale. Anzi, sono stati coltivati disegni e progetti di ‘socialità altra’: siamo stati sempre connessi, con nuove modalità, in nuovi contesti e con nuove tempistiche. In questo quadro, la pubblicità si è allontanata completamente dalla forma merce: le aziende hanno smesso di parlare dei prodotti che vendevano e dei servizi che erogavano; hanno puntato sui loro valori, coniugando la propria value proposition con il clima che si respirava. Questo tipo di comunicazione ha fatto leva sulla mobilitazione collettiva per il rispetto delle regole. Le aziende hanno così contribuito a costruire il clima di responsabilità dei cittadini”.

E le aziende cosa ci hanno guadagnato?
“Facendo un passo indietro dal punto di vista commerciale e uno avanti come istituzioni sociali, hanno guadagnato in reputazione. Già da anni nella sfera pubblica mediata assistiamo a questo tipo di processo: da un lato osserviamo istituzioni, partiti e leader politici che si muovono come brand commerciali, dall’altro prendiamo atto che molti brand commerciali si occupano di temi come la sostenibilità ambientale, sociale e culturale, prendono posizione. È quello che nel gergo tecnico viene definito ‘brand activism’. Oggi, la Corporate Social Responsibility non è più una moda, ma un convincimento radicato. E fare marketing con i contenuti significa non pensare alla vendita del prodotto ma parlare ‘intorno al’ prodotto e servizio. Significa affrontare i temi di interesse per i consumatori indipendentemente dal profitto”.

Durante il lockdown, molte aziende hanno beneficiato dell’attenzione non solo dei social ma anche dei media tradizionali. Giornali e telegiornali hanno raccontato le storie dei cassieri del supermercato, dei portalettere, degli addetti alla logistica e di tutto il personale che ha lavorato in prima linea mentre gran parte degli italiani era in quarantena. In che modo l’impegno – e il ritratto restituito dai media – di un singolo può influire sull’immagine di una grande azienda?
“I media mainstream, e in particolare i TG, sono sempre molto attenti alle figure eroiche. L’eroe ha una connotazione fortemente evocativa, è un esempio da seguire, ed è compatibile dal punto di vista tecnico con il mezzo televisivo. Medici e infermieri hanno finalmente goduto della visibilità che meritavano e meritano. Il Covid-19 ci ha messo di fronte a due grandi categorie di persone: quelli che hanno lavorato di meno, o non hanno potuto proprio lavorare; quelli che hanno lavorato tantissimo, facendosi carico della responsabilità di erogare un servizio, nonostante i rischi quotidiani. Portare la posta a domicilio, così come stare alla cassa di un supermercato a contatto con la gente, ha richiesto grande coraggio. Le aziende hanno fatto bene a celebrare queste figure che sono state la cinghia di trasmissione per l’avvio di un percorso che gradualmente ha riportato l’Italia alla normalità. Mettere in evidenza il ruolo dei propri dipendenti e dei propri collaboratori dà l’idea di una community aziendale al servizio del Paese, dei territori e dei soggetti più deboli”.

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