L’Ufficio Postale di Carloforte e il sogno di Isabella che si avvera

Come una vacanza, ma per la vita. Isabella guarda il mare e sorride, mentre il vento del Sulcis le scompiglia i capelli. Non è stato facile partire da Schio, in provincia di Vicenza, dove è nata e cresciuta, dove ha lasciato genitori e fratelli. Ma era qui che voleva stare. E sono già passati tre anni. Sul traghetto che la consegnava alla Sardegna e poi a San Pietro, un’isola nell’isola, portava una valigia pieni di sogni e un cane di nome Petra. In mezzo al mare un Ufficio Postale, quello di Carloforte. E nell’ufficio una sedia vuota, da direttrice, che la stava aspettando. Quando ci si è seduta le è sembrato di essere arrivata. Guarda l’orizzonte. Sedute accanto a lei, sul terrazzo di quella che ormai è casa, Andreina e Nicoletta, due colleghe che sono diventate amiche, che l’hanno accolta con l’affetto che da queste parti si riserva ai forestieri. Intorno al tavolo, dove nei piatti restano gli avanzi della cappunadda, scodinzola Emi, un volpino tabarchino che da qualche mese fa compagnia a Petra. Questa è la sua nuova famiglia improvvisata, sotto il segno di Poste Italiane. “Un’azienda che riesce a comprendere i tuoi desideri, che cerca di soddisfarli per rendere migliore la tua vita professionale e personale, è un privilegio”, dice Isabella alle due compagne di lavoro e di chiacchiere, sorseggiando il caffè.

Il richiamo dell’autenticità

Ci è venuta per anni, in vacanza da queste parti. E poi ha deciso che non poteva più farne a meno. Ha chiesto il trasferimento nel Sulcis, una terra costiera a sud ovest della Sardegna che l’ha conquistata per i colori della vegetazione e per l’autenticità che sentiva parlando con gli abitanti del posto. Come adesso, anche se il dialogo con Nicoletta e Andreina ha lasciato per un momento spazio al suo accento veneto, sperduta in un pensiero ad alta voce che le due donne accolgono con naturalezza, facendo quello che per i carlofortini è una specialità: ascoltare. “A vent’anni lavoravo già come portalettere”, racconta Isabella, “con contratti trimestrali e semestrali che mi hanno permesso di mantenermi all’università, e di laurearmi al Dams, indirizzo Arte, col massimo dei voti. Il lavoro di portalettere è stato un mezzo per soddisfare tanti progetti e sogni: era duro, con tempi serrati e grosse responsabilità, ma mi piaceva, mi ha fatto stringere fortissimi legami di amicizia con tanti colleghi, mi ha spinta a crescere, a migliorarmi”. Per qualche tempo le capitava di consegnare la posta, ogni mattina, nello stesso istituto in cui il pomeriggio indossava il camice per occuparsi di arteterapia. Poi ha scelto Poste, ha cominciato il lavoro agli sportelli, girandone quaranta in tutto, ha fatto carriera fino ai ruoli dirigenziali e alla fine ha deciso di andare.

Essere se stessi

“Ero convinta di essere pronta, di essere abituata alla lingua sarda. E invece mi sono subito resa conto che l’Isola di San Pietro, per storia e cultura, è diversa dal resto della Sardegna. E non solo perché parlate una lingua che sembra genovese più che sardo! Questa terra è solare, fascinosa, magica, ma sa anche portarti via ogni certezza, ogni conoscenza acquisita”. “Come te la sei cavata appena arrivata?” le chiede Nicoletta, che è la figlia del capitano dei traghetti che portano sull’isola e sa cosa vuol dire sbarcare qui. “Ho deciso semplicemente di essere me stessa e più umile possibile. Al resto ha pensato questo paesaggio che fa perdere il fiato. E poi voi due naturalmente…”.

Le risposte della gente

Nicoletta e Andreina sorridono come quando stanno dietro lo sportello, spesso traducendo il tabarchino a Isabella davanti a clienti perplessi perché la direttrice non comprende la loro lingua. A lei verrebbe voglia di abbracciarle. “Col tempo ho capito quanto un lavoro come il nostro, in un posto come questo, sia ancora più importante che altrove: quanto un ufficio postale rappresenti per la comunità un punto di riferimento. Vivere in questa piccola isola, senza mezzi di soccorso, senza ospedale, con tanti servizi che mancano, mi ha riportata col pensiero alla mia terra veneta, dove abbiamo tutto. Ma la risposta me l’ha data ogni volta la gente del posto, u pàize, me l’avete data voi, come nei momenti peggiori della pandemia: la forza nell’affrontare il disagio, la presa in carico del problema, le soluzioni costruite a mani nude, come le ambulanze attrezzate e i centri di analisi. D’improvviso mi sono sentita protetta più che mai: dall’ufficio postale, dalle case intorno, da quest’isola e dalle persone che la abitano”.

Il coraggio di una scelta

Isabella prende fiato. Posa lo sguardo sulla tavola, le tazzine di caffè vuote, sul volto delle sue ospiti, sui due cani che si rotolano sul pavimento, sulle piante di mirto e ginepro che accompagnano la vista fino all’acqua blu che le sussurra la voce lontana del “continente” – qui lo chiamano così – che si è lasciata indietro. “Oggi posso dire di essere grata a me stessa per avere avuto il coraggio di una scelta tanto importante. Ogni mattina i colori dell’alba e ogni sera il tramonto mi confermano la promessa fatta a me stessa: di vivere la vita che vogliamo, perché ne abbiamo solo una, di rispettare i nostri desideri e di amare noi stessi, facendo le cose che ci piace fare. E di essere grata a Poste per avermi aiutato a realizzare tutto questo. E di essere grata a voi per averlo reso più facile”. Isabella ha gli occhi umidi e all’improvviso sente un filo di imbarazzo, forse per aver parlato così tanto, per non aver misurato le parole come sanno fare qui. “Posso abbracciarvi?” aggiunge soltanto.