Vivendo al massimo l’amore verso Gesù di Nazaret e verso i poveri, Charles de Foucauld ha liberato la fede cristiana dalla febbre devozionale riportandola all’essenziale di un umanesimo che dialoga con Dio e cambia la storia. Essere cristiani è vivere nell’imitazione di Gesù. Non un Cristo pantocratore regale e inaccessibile, ma Gesù del Vangelo, compagno di strada, samaritano che serviva e guariva ogni genere di debolezze e malattie. È questo il povero cristiano che oggi (15 maggio) papa Francesco proclama santo e fratello universale, icona del cristiano del terzo millennio. Non a caso la sua enciclica “Fratelli tutti” si apre con Francesco di Assisi e si conclude con Charles de Foucauld il quale amava firmarsi come “Fratel Charles” o “Charles di Gesù”. Eppure sconvolge l’apprendere che quest’uomo, emblema dell’umanità solidale e fraterna, è tato ucciso, senza gloria di martirio, ostaggio di predoni. Una morte accidentale tipica dell’uomo qualunque. Aveva intuito l’essenziale: che la vita cristiana si gioca e si risolve nell’amore, sempre e comunque, anche nelle situazioni più tragiche come nella routine quotidiana.
La ricerca dell’amore
È il segreto di de Foucauld, spirito in ricerca costante di considerare l’amore come ragione di vita che acquieta l’inquietudine compagna di ogni esistenza. Il mondo nuovo si costruisce costruendo l’amore. Il segreto di scommettere sull’amore, sull’amore di Dio per noi e sull’amore dell’uomo per Dio Fratel Carlo di Gesù lo ha disseminato nelle sue tantissime lettere. Indirizzate a ogni genere di persone, ma ben 2216 delle 6411 finora note, indirizzate ai familiari, in particolare alla sorella Mimi cui assicurava: “Non c’è distanza per i cuori che si amano”. A lei scrisse l’ultima lettera nel giorno del suo assassinio: 1 dicembre 1916, a 58 anni. Le sue lettere schiudono una prospettiva di vita in funzione dell’amore per un Dio non astratto, storicamente accaduto, conosciuto, amato con il nome di Gesù. De Foucauld ha scommesso la sua vita cercando di diventare una sola cosa con Gesù, imitandolo in tutto e specialmente nel nascondimento e nella semplicità quotidiana di Nazaret. Un enigma che soltanto il silenzio contemplativo può aiutare a sciogliere in parte: un Dio che passa 30 anni di vita su 33 nel nascondimento. E proprio il disorientamento nostro consiglia a leggere la storia in maniera rovesciata: l’uomo si ritrova perdendosi nel servizio agli altri e non perseguendo tonanti proclami bellicosi e superbi.
L’attenzione per il Vangelo
Charles chiamava Gesù il “Beneamato” e tutta la sua vita, una volta convertito alla sua vocazione, fu spesa a sperimentare una forma semplificata di sequela del Vangelo: Gesù messo al centro, sempre. Oggi che viene proclamato santo, è un esempio riuscito di vita vissuta come piccolo fratello di Gesù. La corrispondenza con le persone più disparate documenta il denominatore comune di una spiritualità attinta dal contemplare il Vangelo; più che un devoto è un uditore insaziabile della Parola da cui scaturisce un modo robusto di credere in tempi difficili come il nostro presente. Gesù è in assoluto il nome più ricorrente delle sue lettere e dei suoi scritti: “Gesù – scriveva nel 1905 a suor Augustine – vuole da noi che l’amiamo, che imitiamo la sua vita, che siamo le sue immagini, che lo lasciamo vivere in noi, continuare in noi la sua vita”. Amava definirsi “fratello universale”: fratello di Gesù e, in lui, fratello di tutti. Con questo appellativo egli ha sintetizzato il senso della sua vocazione e della sua missione: “ Non basta essere qui – scriveva a suor Augustine – bisogna esserci come figli di Gesù, servi di Gesù, fratelli di Gesù, amarlo con tutto il proprio cuore e cercare di farlo amare!”….Qualsiasi siano le miserie che dobbiamo deplorare attorno a noi e in noi… è in lui che bisogna vivere, e non bisogna mai perdere nel profondo dell’anima questa gioia profonda e questa pace profonda della sua beatitudine”. “Guardarlo e imitarlo. Gesù stesso – si legge in una lettera del 1903 – ha indicato ai suoi apostoli questo metodo così semplice di unione con lui e di perfezione: è proprio la prima parola che ha detto loro, sulla riva del Giordano quando Andrea e Giovanni vennero da lui: Venite e vedete” disse loro…venite, cioè seguitemi, venite con me, seguite i miei passi, imitatemi, fate come me, vedete, cioè guardatemi rimanete alla mia presenza, contemplatemi”. La salvezza del prossimo (attraverso opere diverse, a seconda che viviamo nel mondo o fuori dal mondo, come apostoli o da soli) è l’opera di ogni cristiano, come fu l’opera di Gesù. Ogni anima deve lavorare al lavoro di Gesù. Cioè alla salvezza delle anime”. Commentando “Padre, nelle tue mani rimetto lo spirito mio”, de Foucauld scrisse: “Questa è l’ultima preghiera del nostro Maestro, del nostro Beneamato. Che possa essere la nostra… E che sia quella non solo del nostro ultimo istante, ma di tutti i nostri momenti”.