Feroci, vere o piene di elogi: Alessandro Haber e il mistero delle lettere

Il libro autobiografico scritto da Alessandro Haber con Mirko Capozzoli, “Volevo essere Marlon Brando (ma soprattutto Gigi Baggini)” (Baldini&Castoldi, 2021) è una narrazione avvincente piena di storie della Storia del cinema, che rivela non sono la grandezza artistica di un attore straordinario, ma soprattutto la sua grande e rara umanità. Quando lo chiamo comincia male, mi dice sbrigativo che di lettere ne ha scritte pochissime nella sua vita, “mi hanno scritto delle donne” sostiene vago, “io usavo il telefono, faccio fatica a tenere la penna in mano”.

Lettere d’amore (e dolore)

Fa parte della persona, diretta, corporale, sanguigna, uno che non le ha mai mandate a dire neanche a Gassman o a Strehler, che ha vissuto a microfono aperto. Secondo lui la lettera “ha una grande forza evocativa, ci sono libri scritti solo di lettere, scritte ad amanti, poeti, filosofi, lì la parola resta, non evacua”. Adesso qualcosa ricorda, alcune le ha spedite, “una lettera straziante inviata a Mariangela, una lettera lunga”, la ragazza che lo aveva lasciato durante il militare, “rivelavo tutto il mio dolore, più sei disperato e più ti scopri” riflette. Gli ricordo quella ricevuta da Cristina mentre nel 1975 era a girare lo sceneggiato “L’Eneide” a Novaglia, nell’isola di Pag in Croazia, con la regia di Franco Rossi. “Sì, una lettera che mi fece molto male” ammette, “ero giovanissimo, improvvisamente mi innamorai di una ragazza, mi innamorai sul serio, ero talmente all’avventura che trascurai quel sentimento”, confessa, “la tradivo, non mi presentavo agli appuntamenti, c’era una balera dove andavamo a ballare dopo le riprese e una sera arrivò un ragazzino, mi disse che lei mi aspettava sul lungomare, la raggiunsi e appena mi vide mi diede una sberla, poi mi consegnò la lettera e sparì”. Si ritrovarono la notte, fecero l’amore, “gli dissi che ero pentito, ero perso di lei, ma non mi credette e tornò a Zagabria. Per anni ho ripensato a quella storia” racconta. “Era molto dolorosa, erano le parole di una ragazza ferita e umiliata, una lettera così feroce non l’avevo mai ricevuta”.

Parole di emigrati

Altre lettere quelle di un reading di testi dell’emigrazione italiana scelti dallo scrittore Andrea Di Consoli, inviate da gente costretta a scrivere ma che non sapeva scrivere, lettere struggenti alle madri, alle mogli, “curiose, belle”, le ricorda Haber, “erano dei parti, lettere di gente come quella che adesso viene dall’Africa per cercare la libertà, una dignità nel lavoro, una rinascita” dice coinvolto.

L’amore per Bukowski

Ma forse la più bella è quella che lo scrittore Charles Bukowski scrive ai suoi editori John Louise Webb, i quali gli pubblicarono le prime poesie sulla rivista di letteratura “The Outsider”. “È un genio, lo sento vicino” dice l’attore bolognese, “era uno contro la falsità, il perbenismo, vicino agli ultimi e ai diseredati”. Lo ama talmente che lo spettacolo creato con le sue parole lo ha intitolato “Haberowsky”, “un linguaggio forte e delicato, crudo, diretto, un ritmo musicale nella scrittura”. Poi sento che si sposta, va a cercare la celebre lettera, “aspetta” mi dice, sento che sta sfogliando le pagine di un copione, passa qualche secondo, poi dice ancora “eccola!”. Comincia a leggerla, a intonarla, “ho una paura tremenda di essere ipocondriaco (…) e continuo a bere e a guardare dalla finestra, la gente, l’erba, (…) questo è il mio libro e il mio amore (…) il titolo è buttarsi da ogni finestra”. Continua, è un privilegio ascoltarlo in questa lettura privata, tutta per me, la voce di uno dei più grandi attori del cinema italiano, amato da Bellocchio, Pupi Avati, Marco Risi, dai Taviani, “è una lettera di dieci pagine, delirante, scritta da ubriaco”, aggiunge. Ma la più bella, quella più importante, “me la scrisse Strehler mentre recitavo al Piccolo, non con la sua regia, era piena di complimenti” svela. Non ricorda le parole esatte, ma fu una emozione fortissima.