Coltivare la memoria è un dovere: 160 anni di Poste, l’identità del Paese

Celebrare gli anniversari è importante, per alcune ragioni che diremo poi. È talmente importante che al numero 51 di Via della Ferratella in Laterano, a Roma, si è insediata la “Struttura di Missione per la valorizzazione degli anniversari nazionali e della dimensione partecipativa delle nuove generazioni”. È un ufficio della Presidenza del Consiglio, alle dipendenze del Ministro per le Politiche giovanili, che ha il compito di tenere viva la memoria di ciò che siamo stati. Incarico non banale in un Paese con un’identità per molti aspetti ancora fragile. Nel decreto che istituisce la Struttura di Missione, si ricorda che la memoria è un patrimonio culturale collettivo che va trasferito soprattutto ai giovani. Coltivare la memoria significa rafforzare l’identità e favorire la coesione. Celebrare un anniversario consente di misurare il percorso che si è fatto attrezzandosi per affrontare al meglio quello che ci attende.

Storie parallele

Poste Italiane taglia il traguardo dei 160 anni e se si guarda indietro scopre che la sua storia è stata per lunghi tratti quella del Paese. Tutto cominciò con la Legge 604 del 5 maggio 1862, che istituiva le Regie Poste, frutto della fusione tra i diversi operatori degli Stati pre-unitari. Era trascorso appena un anno dalla nascita del Regno d’Italia, e il varo di un servizio postale comune fu la conferma che una nuova Nazione si stava formando. Questa vocazione unificatrice delle Poste avrebbe caratterizzato tutta la loro storia. Ancora oggi la riduzione del divario tra Nord e Sud passa anche attraverso la rete postale: dai servizi online agli sportelli che restano aperti nei piccoli comuni delle aree interne, secondo una logica di inclusione sociale prima che di tornaconto commerciale.

Unificare il Paese

Quell’atto fondativo richiese anche un grande impegno di innovazione. Si trattava di armonizzare i telegrafi, le retribuzioni, le divise, la classificazione del personale, la normativa e le tariffe dei diversi servizi. Non fu semplice. La logistica con cui allora si doveva fare i conti era composta dalle strade e dalle tratte di mare percorse da cavalli, diligenze, piroscafi. Ma la capacità di innovare ottimizzando risorse e strumenti è una caratteristica che si è conservata nel tempo.

La nascita del risparmio

Le Regie Poste nacquero qualche mese prima che Vittorio Emanuele II firmasse la legge di unificazione del sistema monetario e che la Lira diventasse ufficialmente la valuta ufficiale dell’Italia. Pochi anni dopo, nel 1876, nacquero i Libretti di risparmio postale, che consentivano agli italiani di mettere al sicuro e far fruttare le loro economie. Fu un successo travolgente, i libretti attivati furono 57 mila nel 1876, 4.300.000 nel 1901 e arrivarono a circa 6 milioni nel 1912. Il 1925 fu l’anno di nascita dei Buoni Fruttiferi Postali che affiancarono i libretti. La raccolta superò di nuovo tutte le attese. Ai vantaggi per i risparmiatori si sommavano quelli per lo Stato, che poteva così finanziare la realizzazione di opere pubbliche: strade, ferrovie, reti telegrafiche e telefoniche ma anche scuole, uffici, ospedali. Nulla di diverso da quanto continua ad accadere oggi, sia pure in uno scenario e con strumenti di altro genere.

Fiducia collettiva

Nelle pagine che seguono Ferruccio de Bortoli sottolinea come raccogliere e gestire il risparmio degli italiani, anche di quelli più poveri, sia una grande responsabilità. E Poste se la può assumere perché gode della fiducia collettiva. Nel 1874 fu messa in commercio la prima cartolina postale. Si potevano scrivere alcune righe di testo e comunicare l’essenziale a tariffa ridotta. Per una cartolina postale si spendeva meno che per una lettera perché si rinunciava alla privacy. In fondo qualcosa del genere succede oggi con le e-mail. Con la differenza che le Poste erano (e sono ancora) molto più discrete di Google.

Dai pacchi a Turati

Nel 1881 venne istituito il servizio pacchi postali. Inizialmente i pacchi si potevano ritirare solo all’ufficio postale ma dopo i primi tempi fu introdotta la consegna a domicilio, anche qui con un discreto anticipo – diciamo un secolo – rispetto all’era del delivery. Prima che l’Ottocento si chiudesse gli italiani presero confidenza anche con il contrassegno, il biglietto postale, la cartolina-vaglia, l’espresso e l’espresso urgente. Tra le tappe significative nella storia di Poste c’è, l’11 febbraio 1902, la nascita della Federazione postale e telegrafica italiana, organizzazione dei lavoratori presieduta dal leader socialista Filippo Turati. Intervenendo alla Camera, Turati spiegò che “la vecchia Federazione del personale postale si era allargata abbracciando anche il personale dei Telegrafi e aveva chiamato me, indegnamente, a presiederla. Mi arrise l’idea di difendere i diritti di un esercito di 30 o 40 mila lavoratori e di contribuire a portare nel personale postale e telegrafico quelle stesse idee di temperanza che ho tentato di portare nel movimento operaio”.

Tessere dello stesso mosaico

Durante la Grande Guerra cartoline, lettere e pacchi servirono a mantenere connessi i soldati al fronte con le loro famiglie. Pietro Calamandrei, futuro padre della patria, raccontando della sua esperienza nella Grande Guerra: disse che “la posta è il più grande dono che la patria possa fare ai combattenti”. In questi 160 anni, i francobolli ci hanno raccontato, illustrandola, la storia del nostro Paese. Hanno accompagnato le grandi svolte: l’avvento del fascismo e il suo ventennio, la guerra di Liberazione, la nascita della Repubblica, la Costituzione. Ma hanno anche aperto uno scorcio su luoghi, personaggi ed episodi talvolta minori ma sempre significativi. Tante tessere di un mosaico che alla fine ci dà l’idea di come siamo diventati ciò che siamo.

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